A cura della Redazione
Immaginiamo che la Mehari verde sia ancora lì, parcheggiata in piazza Nicotera, e che Giancarlo Siani, il ragazzo arrivato dal Vomero per raccontare Torre Annunziata, ne sia appena disceso. Eccolo aggirarsi nella città che aveva imparato a conoscere forse meglio di chi ci abitava, eccolo curiosare tra i corridoi del Municipio appena restaurato dopo lavori interminabili. Nella stanza del Sindaco trova una vecchia scrivania e un nuovo inquilino, una faccia pulita, uno cresciuto come lui, inseguendo sogni e provando a realizzarli. Eccolo spulciare tra le carte dell’ultimo finanziamento, quello che dovrebbe consentire per lo meno di avviare il restyling del nucleo storico di Torre. Eccolo ancora allungarsi fino alla caserma dei carabinieri, per poi passare dal vice questore: cerca dettagli sull’arresto di un altro latitante. La lotta continua, le possibilità che questa guerra sia vinta aumentano di giorno in giorno. E lui, Giancarlo, ci aveva creduto, fin dal primo giorno in cui l’avevano mandato in provincia perché nella redazione centrale del Mattino non c’era posto. Mandato a farsi le ossa, come un calciatore che si vuole provare in un piccolo campionato prima di schierarlo titolare. Sono ventiquattro anni che Giancarlo Siani manca da Torre Annunziata, che manca ai suoi cari, al fratello Paolo, ai suoi amici, che erano anche meno balordi di quelli che Marco Risi gli ha attribuito (per esigenze di sceneggiatura) nel film Fortapàsc. Sono ventiquattro anni che Torre Annunziata tenta di cambiare, di scrivere finalmente la pagina che il ragazzo del Vomero non riuscì mai a scrivere. Gli Scavi di Oplonti sono ancora lì, straordinari nella loro bellezza, mortificati dall’impossibilità di trovare i fondi necessari per nuove scoperte, scontate ma che nessuno mai riporterà alla luce. Raccontava queste cose Giancarlo nelle sue corrispondenze, ogni giorno scopriva un altro lato, un piccolo dettaglio di una cittadina di provincia che ai napoletani risulta molto più lontana dei venti chilometri d’autostrada che la separano dalla metropoli. Un racconto interrotto da assassini che hanno voluto punirlo, uccidendo la sua speranza di cambiare il mondo, e pure la nostra illusione che bastasse denunciare il marcio per estirparlo. Torre Annunziata non ha dimenticato Siani, ne ha adottato il ricordo trasmettendolo anche a chi quel 23 settembre del 1985 non era neppure nato. Da allora troppo poco è cambiato: Giancarlo e la sua Mehari non ci sono più. E anche noi continuiamo a non sentirci benissimo. MASSIMO CORCIONE (dal periodico TorreSette del 25/09/2009)