A cura della Redazione
Ora che Fortapàsc è stato liberato dall’assedio, il contrasto con il passato è ancora più stridente, irritante, indisponente. Possibile che eravamo proprio così? Sono passati 24 anni da quella sera di settembre in cui Giancarlo Siani, corrispondente per Il Mattino da Torre Annunziata, venne ucciso sotto casa. Finimmo tutti sotto processo, finimmo anche tutti (o quasi) per sentirci colpevoli. E’ passato un quarto di secolo, i segni si vedono tutti. Come eravamo? Da oggi un film prova a ricordarcelo. Ritrovarsi in quelle immagini è difficilissimo, vedere paragonati un summit camorristico e una seduta del consiglio comunale provoca uno choc dal quale non è semplice riprendersi, anche se sei seduto su una poltrona del San Carlo ed hai la consapevolezza che quella riprodotta sullo schermo è finzione non realtà. Ecco perché non avevo dubbi che l’opera di Marco Risi avrebbe avuto l’effetto di uno schiaffo in piena faccia per noi torresi. Lo ha avuto anche per moltissimi giornalisti napoletani e ne è nata quasi una rivendicazione corporativa sul ruolo che la stampa recitò in quegli anni turbolenti. Fortàpasc è nelle sale da oggi, l’unico modo per farsene un giudizio è vederlo, senza suggestioni preventive. Chi lo ha già visto, nell’anteprima organizzata lunedì scorso, ha ricevuto forti, e non sempre piacevoli, sensazioni. Il cinema, come la letteratura, non fa sconti: punta sul bianco o sul nero, tutto ciò che è nel mezzo non è considerato interessante, non attrae, anzi respinge. Basta saperlo e non considerare la ricostruzione scenica una verità assoluta. Questa non è l’analisi socio-politica su una città malata, ma la storia di un ragazzo ricco di sogni, sceso dal Vomero in una realtà che neppure sospettava potesse esistere, e ritrovatosi forse anche inconsapevolmente nel mirino della camorra. Poco interessa se i mandanti dell’assassinio di un cronista fossero di Torre Annunziata oppure se appartenessero al clan dei Nuvoletta di Marano, né don Chisciotte, né santo: lo ha descritto così Paolo Siani, fratello di Giancarlo, che ne tiene vivissima la memoria. Torre è uno dei teatri sui quali si consuma la tragedia, e nessuno fa sconti sul mondo raccontato nelle corrispondenze per Il Mattino. Eravamo appena usciti dall’era del contrabbando, il terremoto stava generando un flusso di ricchezza che non avrebbe prodotto sviluppo, ma soprattutto corruzione. Tanti di noi – estranei a ogni logica delinquenziale -assistevamo da spettatori distaccati (e impotenti) all’ennesimo sacco. Giancarlo Siani era lì, nel mezzo di un caos perfidamente organizzato dalla malavita, che cercava di capire, trovando sponde più o meno affidabili. Senza essere, come dice il fratello, né don Chisciotte, né santo. Torre Annunziata l’aveva già lasciata da qualche mese, era lì, in redazione, vicinissimo alla meta del contratto a tempo indeterminato. E’ la sua storia che Andrea Purgatori (l’autore della sceneggiatura) e Marco Risi (il regista) hanno voluto rappresentare. Insieme hanno firmato anche Mery per sempre, sui ragazzi difficili di Palermo, e pure quella non era un’indagine sulla mafia e sulle connivenze che la stessa mafia poteva contare a Palermo. Non è Gomorra, hanno ripetuto troppe volte per il timore di confronti pericolosi, non ne ha l’intento e neppure la crudezza. Non potremo mai utilizzarlo per promuovere l’immagine di Torre Annunziata, ma questo era ampiamente prevedibile. Andate e vederlo e parliamone. Piacerebbe l’idea di un sequel: Fortapàsc liberato. Quel copione è solo alle prime pagine, tocca a noi scrivere il resto. MASSIMO CORCIONE DIRETTORE SKY SPORT