A cura della Redazione
Anestesia di una festa cara ai torresi Si può anestetizzare una festa? Bastano insormontabili questioni di bilancio a negare un momento atteso un anno? Ancora qualche giorno e sapremo. Quest’anno sarà un 22 ottobre diverso, e non solo per le ristrettezze economiche che hanno costretto il Comune a tagliare fondi che in tempi di finanza pubblica allegra sarebbero stati intoccabili. Precederà di poco il primo segnale concreto di attenzione verso la nostra condizione di oppressi: la domenica successiva sarà ufficialmente insediato il nuovo comando dei carabinieri, notizia che potrebbe anche essere letta come una festa di liberazione dal male. Una lettura ottimistica che contrasta con la cronaca delle ultime settimane: quella rapina in un supermercato distante solo pochi metri dalla caserma dell’Arma è stata una sfida (non so neppure quanto consapevole) all’Autorità, allo Stato. Di queste sfide, di questa guerra siamo stanchi: ci hanno logorato, hanno infiacchito la nostra resistenza, hanno fatto perdere a molti la fiducia in un futuro che non sia di faticosa sopravvivenza. Ecco, in questo clima, di voglia di festa se ne vede poca in giro. Questa almeno è la sensazione che percepisco da lontano, ascoltando i sensori che ancora conservo, leggendo i messaggi che affiggete sul Muro di TorreSette. Ho fatto anche un piccolo viaggio nel tempo, andando a ripescare i numeri di questo giornale che hanno preceduto la Festa Patronale negli anni passati. L’impressione ricavata è di un cammino della sofferenza, dove la speranza si affievolisce lentamente. Ora questa nuova luce: l’arrivo dei rinforzi in una guerra che ci vede inermi spettatori e insieme vittime. Siamo obbligati ad aggrapparci a qualsiasi appiglio pur di non precipitare. Una ragione in più per interpretare questo 22 ottobre come un momento di riflessione più che di festa. Ma guai a mollare il campo, a lasciare che altri invadano le nostre strade, conquistino i nostri spazi. Riappropriamoci il territorio, anche se mancheranno una manifestazione organizzata che ci chiami a raccolta, una sagra che per qualche ora consenta di riscoprire angoli abbandonati di questa città. Il resto tocca alla fede, per chi ce l’ha. A quel quadro sono legati ricordi di battaglie vinte: sulla natura che sa essere matrigna, sulla malattia, sulla cattiveria degli uomini. In fondo sono gli stessi mali che continuano ad affliggerci. E dai quali vorremmo finalmente essere liberati. Poi verrà il tempo della festa, che potrà durare anche un anno intero. MASSIMO CORCIONE