A cura della Redazione
Servono strategie, non atti simbolici L’elenco è lungo e carico di rimpianti: le cose belle che avremmo voluto raccontarvi su Torre Annunziata sono rimaste quasi tutte nel cassetto delle buone intenzioni. In questi primi cinque anni hanno spesso lasciato il posto a eventi straordinariamente negativi. Così lo straordinario è diventato orrore e bruttura ordinari. La successione di questo disgraziatissimo 2008 è stata da incubo. Il prologo addirittura negli ultimi minuti del 2007: l’omicidio di Giuseppe Veropalumbo è ancora impunito, non c’è stata spiegazione alcuna per una morte avvenuta nella sala da pranzo all’ora del cenone, chi ha sparato non ha avuto un nome. Godettero di pochi giorni di libertà i rapinatori che ammazzarono il tenente dei carabinieri Pittoni in un ufficio postale di Pagani. Hanno solo accresciuto l’orrore le confessioni dello stupro alla ragazza tedesca che pensava di poter far campeggio sulla spiaggia di Rovigliano, come se Torre Annunziata fosse un luogo simile ai tanti altri visitati in giro per il mondo. Le deposizioni rese ai magistrati certificano la nostra diversità: che cosa puoi aspettarti da un ragazzino che va al matrimonio del fratello con una rivoltella nei calzini? Avrà un concetto della vita umana estremamente precario, la sopraffazione è l’unica regola che conosce, il rispetto per lui sarà quello che si riesce a ottenere terrorizzando gli altri. Senza tacere i delitti per faida di camorra o per l’onore ferito di un’amante: una successione disperante che ha scandito anche le nostre cronache. Abbiamo riconquistato la vetrina di giornali e tg, un privilegio al quale avremmo volentieri rinunciato. Anche perché quando ciò accade, la generalizzazione è sempre in agguato, un rischio al quale non si sottrae nessuno, per pigrizia mentale più che per cattiva volontà. E’ stato invocato l’intervento del ministro Maroni, soprattutto è stato richiesto un cenno di esistenza dello Stato, in una terra diventata senza legge. Non servono però atti simbolici, occorre una strategia, frutto della consapevolezza che Torre Annunziata è diventata ormai una città di frontiera. E cedere l’avamposto all’avversario, all’anti-Stato, non conviene a nessuno. La perenne emergenza ha condizionato la vita privata e quella pubblica. I progetti hanno popolato soprattutto i giorni delle campagne elettorali, vissute senza passione, soffermandosi più sulle piccole (e insanabili) rivalità interne che sui modi diversi per puntare sulla rinascita di una città ormai agonizzante. Qualche scarica positiva di adrenalina l’abbiamo avuta: abbiamo scommesso sulla zona franca come possibilità di sviluppo. Per ora è un atto di fede, ma serve soprattutto quella quando siamo in fondo al baratro. Altrimenti si uccide anche la speranza: basta frequentare il nostro muro per rendersene conto. Appiccicate, vi troverete tutte dichiarazioni pessimistiche, dalla voglia di fuga per chi è ancora in trincea ai propositi di non ritorno per chi aveva scelto l’emigrazione come condizione non permanente. Eppure proprio dal contatto quotidiano che si è stabilito tra noi e voi, aspettiamo di trarre nuova energia, la benzina necessaria per ripartire. Non possiamo rassegnarci a non sognare più. Pur tenendo gli occhi aperti e le pagine del giornale sempre libere per regalarvi le buone notizie che finora ci sono state negate. MASSIMO CORCIONE