A cura della Redazione

Giggino, torrese DOC, (il padre don Gennaro, con pazienza certosina e grande maestria, aggiustava orologi in una bottega al Corso Vittorio Emanuele, angolo Via Mazzini, ‘o vico e Fabbrucino, di fronte al negozio del Patanaro) al secolo prof. Luigi Casale dirigente scolastico in pensione e Presidente dell’Associazione culturale Millan a Bressanone, nelle sue discese estive per le cure termali in terra vesuviana, più volte mi aveva invitata a raggiungerlo ai piedi del monte Plose in Trentino Alto Adige.

Qui, un trentennio addietro, il mio amico trovò lavoro e casa, dopo essere passato per varie città del centro e del nord Italia, emigrato intellettuale persino a Lussemburgo.

Giggino da ragazzo si avviava a intraprendere la carriera ecclesiastica. Ma poi, quando già sua mamma lo sognava Vescovo e aveva rivestito di rosso la sua cameretta, fu folgorato dallo sguardo di una fanciulla, e scoprì che la sua vocazione era quella del padre di famiglia.

Passò dal Seminario al Liceo “Benedetto Croce”. Ed infine, sposò quella fanciulla che gli aveva fatto intravedere il Paradiso sulla terra, una mia compagna di scuola delle elementari e delle medie, Patrizia De Felice, che gli ha dato tre figli.

Ai miei dinieghi a raggiungerlo a Bressanone, causati dalla paura del clima, Giggino mi aveva rassicurata: “Sai, di questi tempi, anche qui è primavera e la temperatura non è diversa dalla nostra comune patria vesuviana”.

Io però - lo confesso - non gli ho mai creduto. Ed ho accettato il suo invito a presentare presso la sede della sua Associazione Culturale Millan il mio libro Le figlie della fortuna, solo perché, in questi ultimi anni - da quando ho appreso che Patrizia, purtroppo, si è assopita in un sonno senza risveglio, passando dolcemente dalla terra al cielo, come solo a qualche Santa è capitato -  si è fatto sempre più vivo il desiderio di conoscere i luoghi in cui era vissuta i suoi anni maturi di sposa e di madre, quella dolce creatura dalle trecce bionde, che si distingueva per il suo italiano forbito, immortalata insieme ad un allegro gruppetto di bambine con il grembiulino nero e il colletto bianco nella foto ricordo della licenza media alla scuola storica di Via Maresca, poi intitolata a Giovanni Pascoli. 

Del resto, proprio gli anni dell’infanzia mi hanno ispirato molte pagine del mio ultimo libro, Le figlie della fortuna (Graus, 2015), che Giggino mi invitava a presentare quassù. Ed i giorni, dolorosi ma felici nel ricordo, in cui Patrizia sedeva nel mio stesso banco, e gareggiava con me nel primato in una scuola che amava le graduatorie, affollavano la mia mente. 

Proprio con il pensiero rivolto a lei ho vissuto queste giornate altoatesine, ospite del Seminario, aprendomi alla preghiera e al raccoglimento, colpita dal silenzio ancestrale delle stanze e dei luoghi: musica dolce di “un silenzio cantatore”, sconosciuto alle mie orecchie, assordate dai rumori roboanti di città metropolitane.

 

Ho affrontato il lungo viaggio, da Torre Annunziata a Bressanone con la paura del freddo. Come Peppino e Totò, cautamente, ho messo in valigia anche il cappotto. Ed ho dovuto indossarlo perché, appena scesa dal treno, mi sono imbattuta in una pioggia insistente, fredda e greve, che sulle cime delle Dolomiti, non lontane, era neve.

Meleti. Filari interminabili di alberi di meli, incrociati ai pali a formare sempre la stessa figura geometrica. Trapezi disegnati da rami verdi con ricami di fiori bianchi che saranno mele gialle e rosse.

E poi vigneti bassi, dai tralci raggiungibili anche da un bambino fino alla cima. Tralci lussureggianti adagiati con leggero tocco a spalliere di legno, comode come un letto.  Diversi dalle viti della mia infanzia, quei vitigni di uva Sant’Anna che formavano un pergolato alto sul terrazzo di casa. 

Meli e viti si alternano e corrono insieme con il treno che mi porta da Verona a Bressanone.

Mi sento in un quadro di Giovanni Segantini, proiettata nel prato ai piedi delle Dolomiti, con le mucche che brucano, girandosi, infastidite, verso il treno. Mamme quadrupedi, dal vello rossiccio o bianco e nero maculato, spingono i teneri nati al riparo dalla pioggia insistente.

I nomi dei paesi indicati nelle stazioni, Rovereto, Trento, Vipiteno, mi ricordano giornate gloriose di una storia studiata sui libri di scuola, o di delizie esportate fino al supermercato di casa mia.

Nel refettorio, a colazione di buon mattino, un anziano prelato mi saluta, ricordandomi in tedesco e in italiano: “Es regnet viel/ piove molto”. Ebbene sì, qui la maggior parte degli abitanti è di lingua e pure la Messa si recita in italiano ed in tedesco.

Ma il freddo l’ho sentito per poco, solo al primo impatto.  Le intemperie del clima di questa bizzarra primavera sono passate in secondo piano, per i continui impegni.

La città mi è apparsa come una casa, dalle porte sempre aperte, pronta all’accoglienza. Il Duomo costituisce l’atrio, silenzioso e gentile. Il chiostro, come il corridoio di un appartamento, collega con tutte le direzioni e ti offre un tetto affrescato, al riparo dalla pioggia e dalla neve per ogni uscita. E le strade principali, dai marciapiedi larghi, coperti da portici, facilitano lunghe passeggiate  mattutine e serali in ogni stagione.

L’antichità classica e la cultura contemporanea, ovvero l’attualità dell’antico,  è stato l’argomento della  conversazione da me tenuta negli incontri con gli studenti-  nel primo giorno al Liceo “Dante Alighieri”, nel successivo alla Scuola professionale “Enrico Mattei”.

Coadiuvata dai rispettivi Dirigenti scolastici, Prof. Giuseppe Perna, al Liceo, Prof. Alberto Conci, al Professionale e dai docenti, partendo dal mio libro, Aspettando Clio. Con Petronio ed Apuleio per Oplonti e Pompei, ho illustrato alcuni monumenti dell’area archeologica Vesuviana, Pompei ed Oplonti, presentandoli come un laboratorio di scrittura, come l’altra faccia di un romanzo, il Satyricon di Petronio, scritto duemila anni fa’ ed ancora fresco ed attuale.

Pompei, un museo a cielo aperto, Oplonti con gli affreschi di una villa imperiale e le contraddizioni della società moderna che le circonda, appaiono realtà lontane e incomprensibili per chi vive in una terra che conserva intatta, come se solo ieri avesse visto la luce, l’abbazia di Novacella, fondata agli albori dell’anno mille, immersa nei vigneti e nei campi fioriti di rose, lungo il fiume, ancora viva di fervide attività agricole, commerciali e culturali, grazie ai solerti Padri Agostiniani.

Perciò - reduce dalla visita al Museo Archeologico del Trentino Alto Adige di Bolzano, che custodisce gelosamente un unico monumento in un palazzo intero, la mummia di Oetzi e ti guida passo per passo lungo il cammino della storia di millenarie ere geologiche - mi sono stupita nel vedere giovani, in parte pure di lingua tedesca, ascoltare con attenzione le mie parole, pormi domande, desiderosi di saperne di più su argomenti per loro nuovi.

Mi sono stupita, vedendoli ancora incollati alla sedia, anche quando è suonata la fine dell’ora di lezione. Allora una ragazza, di origini vietnamite, è venuta alla cattedra a pormi ancora domande. Perché la cultura è universale, unisce ed integra più di qualsiasi legge.

L’incontro mi ha dato una grande gioia. I giovani non sono solo quelli che stanno sempre con la testa china a smanettare sui tablet e sugli smartphone, ma sono anche questi che ti guardano negli   occhi se susciti il loro interesse e alzano la testa per guardare lontano. Basta solo indicare loro la strada giusta.       

La calda accoglienza di Giggino e dei suoi amici dell’Associazione Millan ha stabilito l’atmosfera giusta per la conversazione sul racconto Le figlie della fortuna.

Il fuoco del Vesuvio, evocato dalle pagine del mio libro, ha dissipato ogni traccia di gelo.

Il canto della Sirena Fortuna, con la sua nenia dolce e cadenzata, ha coperto il ruggito dei due fiumi, Rienza e Isarco, che si fondono nell’Adige con onde vorticose. Onde irregolari e travolgenti, da brivido per chi è abituato al movimento cadenzato delle onde del mare, al dolce andirivieni della risacca.

Ecco, ogni terra ha le sue sublimi bellezze, le sue sublimi paure ancestrali: da noi il fuoco del Vesuvio, qui l’acqua dei fiumi in piena.

Torre Annunziata 10/06/2015

MARIA ELEFANTE

(nella foto, la classe III D della Scuola Media Pascoli 1962-63 frequentata da Maria Elefante)