A cura della Redazione
Il rapporto con un territorio è espresso anche dal modo con cui esso si vive. Non sempre i rapporti risultano positivi. E’ raro però che li dove c’è odio vi è amore. Questo tipo di rapporto conflittuale, dannato, diviene forte quando poi, tra i due sentimenti, si interpone l’ego del proprio essere. E tra fatalismi, consapevolezze non del tutto chiare - forse anche in maniera voluta - si distingue l’animo chi vive ai piedi della Montagna: il Vesuvio. Di certo la convivenza tra uomo e vulcano, inteso come elemento vivo della natura, non si può definire facile anche se in questo caso la cosa fa piuttosto riflettere chi guarda dall’esterno. La prima domanda che si porrebbe l’essere estraneo al contesto, sarebbe sicuramente: “ma come si fa?” La risposta non è del tutto scontata anche se prevedibilmente ci si sentirebbe dire: a “Lui” ci si è abituati. In effetti il Vesuvio rappresenta una presenza amica se non paternale. Esso è parte del quotidiano di ogni cittadino vesuviano. Il film documentario “Sul Vulcano” di Gianfranco Pannone (foto), la cui proiezione avvenuta presso la Sala Cinema del Politeama è stata promossa da “Corto Dino” nella giornata del 2 marzo, indirizzata in primis alle scolaresche locali per poi continuare in serata per il pubblico, riflette tutti questi sentori. Il sapiente lavoro del regista Pannone scorre con una ritmica ben precisa durante la quale si susseguono storie e fatti narrati da quegli stessi uomini e donne che si nutrono di alcuni aspetti quotidiani di questo territorio. Le trame si susseguono in contesti suggestivi dai quali traspare un’indescrivibile bellezza, talvolta assuefatta dallo struggente effetto del tempo e dalla stravolgente opera umana. Anche se non palese la denuncia è palpabile. La regia è riuscita in modo magistrale a descrivere l’abbandono di un territorio violentato senza il rispetto alcuno del proprio essere naturale. Le riprese spaziano tra le antiche macerie di quello che un tempo era ostentazione della grandezza di un territorio privilegiato , che oggi si è amalgamato in una cementificazione selvaggia che fa sembrare il tutto alla stregua di un mosaico dai mille tasselli ognuno dei quali ha diversi aspetti, talvolta troppo contrastanti, da raccontare. A dare vita alle panoramiche mozzafiato subentrano i racconti genuini dei soggetti intervistati. Tra silenzi inquietanti e monologhi solitari, viene fuori, oltre al solito fatalismo, quel grande senso di appartenenza che contraddistingue l’essere vesuviano. A scandire i passaggi si è ben pensato di tirare in ballo le strepitose vedute edite dai grandi della letteratura. I versi della Ginestra del Leopardi, le narrative di Matilde Serao, quelli di Giordano Bruno, hanno contribuito a ricreare degli spaccati importanti tra l’una e l’altra storia. Sopra tutti e tutto c’è sempre lui, Il Vesuvio, oggi spettatore silente, che scandisce la quotidianità dei luoghi e che viene visto e vissuto come un “amico perché lo guardo”, con non nascosta paura ma anche con estrema indifferenza. A rispondere poi alle tante domande degli spettatori oplontini, è intervenuto il regista Gianfranco Pannone, presente in sala durante le proiezioni, accompagnato dalla dr.ssa Bia Gargiulo, vulcanologa dell’Osservatorio Vesuviano, e dal dr. Gennaro Cuomo, tecnico del Dipartimento di Protezione Civile. VINCENZO MARASCO