A cura della Redazione
Non c’era bisogno dell’arrivo della Cancelliera tedesca Angela Merkel ad Oplontis per chiarire un concetto fondamentale sull’archeologia vesuviana: la complessità della vita in una città dell’antica Roma si può apprendere grazie alla visita degli scavi di Pompei. Ma per ammirare la più bella villa patrizia dell’epoca, dedita all’otium, di tutto il territorio, il turista deve proseguire fino ad Oplontis. I due centri di turismo archeologico (Pompei e Torre Annunziata) sono complementari. Il comportamento della Cancelliera germanica, che coltiva la conoscenza dell’archeologia, come gli intellettuali del suo Paese, riflette questo orientamento. Se la stessa linea di condotta fosse seguita da tutti i turisti, non si verificherebbe che, mentre a Pompei si registrano tre milioni di presenze l’anno (con l’80 per cento di visite che durano un’ora), poche migliaia di turisti conoscono l’importanza della Villa di Poppea. Può senza dubbio essere utile una tavola rotonda per salvare Oplontis, museo a cielo aperto che sta crollando giorno dopo giorno a pezzi insieme alla speranza dei torresi di veder partire l’iniziativa di un museo-forziere per i famosi “Ori” rinvenuti nella villa rustica di Lucio Crasso Terzius, la cosiddetta villa “B”, limitrofa alla domus di Poppea, rimasta dallo scavo chiusa al pubblico. I protagonisti del recente tavolo oplontino, che si è riunito a villa Tiberiade, sono persone competenti in archeologia e capaci di contributi interessanti riguardo alla valutazione della Villa di Poppea e del suo stato di degrado. Parliamo dell’unica domus che al momento ha meritato il prestigioso riconoscimento di monumento Unesco, considerato che Pompei ed Ercolano sono città complete. La Villa di Poppea è oggettivamente una “gemma” in un contesto eccezionale. E’ dotata di struttura signorile, esempio straordinario di gusto e fattura degli affreschi parietali, e di una felice esposizione sul mare con lo sfondo del Vesuvio. Al suo interno sono presenti una sorgente sotterranea che ne alimentava le terme domestiche ed una piscina contornata da un giardino abbellito con preziose statue marmoree. Il problema del rilancio dei beni culturali di (e a) Torre Annunziata afferisce, una volta chiarita la portata dell’intervento, ai finanziamenti che, data la loro probabile entità, possono arrivare solo da mecenati (come nel caso di Ercolano) o da Enti pubblici dotati di forti risorse. Ne consegue che i fondi necessari o provengono dalla Regione Campania o da un Ente di livello superiore (Stato o Comunità Europea). Nello specifico, sarà necessario orientare una politica di spesa impegnativa ma non impossibile, considerato che recentemente abbiamo avuto interventi della stessa portata sul nostro territorio. Ci riferiamo a quelli che la Regione, sotto la guida di Bassolino (che, al di là di ogni valutazione complessiva, ha oggettivamente impegnato ingenti risorse rivenienti da fondi europei) ha predisposto per il potenziamento dei cosiddetti attrattori culturali. La possibilità di orientare la spesa pubblica nel restauro e/o la valorizzazione di un bene archeologico dipende da una serie di variabili. La più importante di esse (specie per una città di provincia come Torre Annunziata) è legata alla tenacia della mobilitazione popolare. A Torre Annunziata, al riguardo, una mobilitazione di quel tipo non c’è mai stata. Come è invece avvenuto a Poggiomarino a difesa (prima) e per la valorizzazione (successivamente) del parco archeologico di Longola, dove nel corso dei lavori per il depuratore del fiume Sarno furono trovati i resti della comunità dei sarrastri (descritta da Virgilio) che si era insediata in quel sito alluvionale, abitando su palafitte, tremila anni fa, e se ne era allontanata, a causa delle inondazioni verificatesi sette secoli prima di Cristo, per fondare l’antica Pompei. Attualmente la mobilitazione della popolazione continua impegnando i partiti politici e gli Enti pubblici. E’ tesa alla creazione di un parco archeologico nell’area di Longola. I torresi, fino ad ora, non hanno dimostrato la forza di volontà messa in campo dai vicini poggiomarinesi, pur avendo avuto a favore argomenti di valenza maggiore. Mi spiego meglio. Gli scavi di Pompei, che con Oplontis e Villa Regina a Boscoreale costituiscono un unicum, sono orfani di una comunità di riferimento che si impegni a fondo senza riserva nella loro complessiva tutela, perché i pompeiani attuali, discendenti dei residenti di “Valle di Pompei”, sono maggiormente legati alla tradizione della missione religiosa e sociale che Bartolo Longo ha svolto nella “valle” sede del Santuario alla Madonna del Rosario. Mentre i torresi, una volta decretata la Pompei moderna con la riduzione dei suoi confini, che ha comportato la perdita del famoso parco archeologico, si sono girati dall’altra parte facendo presto a dimenticare e tagliare il cordone ombelicale che li ha legati ad un secolo di tradizione, che ha conosciuto il protagonismo dei loro progenitori nelle iniziative di scavo ed in quelle imprenditoriali. Albergatori, fotografi, guide turistiche e rivenditori di cammei e paglie da sole che si stabilirono intorno al museo a cielo aperto, meta privilegiata del Gran Tour, provenivano tutti da Pompei. Quale pubblico riconoscimento ha avuto nella memoria collettiva oplontina la figura dell’archeologa Olga Elia, che è stata per anni direttrice degli scavi di Pompei e collaboratrice diretta di Maiuri (l’erede diretto di Fiorelli)? Ragionamenti di pari evidenza possono riguardare la famiglia Item di origine svizzera, che divenne fondatore dell’Hotel “Suisse” e proprietaria del fondo in cui Aurelio (marito di Giulia Pagano, figlia dell’industriale Domenico dei molini e pastifici Pagano & Cirillo) scoprì, insieme all’archeologo Matteo della Corte, l’impareggiabile Villa dei Misteri. Allo stesso tempo, i Prosperi (antenati di Mario Prosperi, che è stato fondatore dell’Archeoclub oplontino) edificarono il primo albergo turistico nei pressi dell’ingresso di Porta Marina degli scavi di Pompei: l’hotel Diomede. La Valle di Pompei si estendeva dall’angolo dell’attuale piazza Bartolo Longo, precisamente dopo il palazzo dove era sito il pastificio Balsamo. Il tutto per dire che se i torresi non riscoprono nella loro stessa tradizione culturale la forza identitaria e la convinzione per portare avanti un’istanza di civiltà e progresso civile, non troveranno mai nessuno convinto ad erogare i finanziamenti necessari a realizzare il progetto per un’iniziativa coordinata, in grado di (ri)lanciare Oplontis nel mercato turistico internazionale. Proprio come meritano il valore culturale e storico di quel sito. MARIO CARDONE twitter: @mariocardone2