A cura della Redazione
“L’ultimo scugnizzo”: una geniale metafora teatrale. Una storia nella quale Raffaele Viviani ha tentato di emarginare povertà, privazioni e indigenza attraverso l’esaltazione dell’intuito, dell’ingegno, dell’estro. Siamo al cospetto di uno dei testi più profondi e significativi del commediografo stabiese che ha attirato le attenzioni artistiche di registi del calibro di Ugo Gregoretti e Tato Russo. La compagnia teatrale Oplontis di Torre Annunziata lo ha adottato per tre, consecutive repliche al “Mattiello” di Pompei dove il pubblico è stato letteralmente ipnotizzato. La consueta, sapiente regia di Beniamino Bisogno ha giustamente riservato uno spazio esiguo ai liberi adattamenti che spesso, in alcune versioni del passato, ne hanno snaturato l’assoluto messaggio culturale. Protagonista indiscusso della scena è risultato un eclettico, multiforme, versatile, attendibile e convincente Dino Leveque che ha riconsegnato alle scene un “esemplare” dell’ultimo scugnizzo assolutamente conforme al modello artistico voluto da Viviani. Un credo teatrale dove benessere, prosperità, ricchezza e abbondanza riescono difficilmente ad esaltarsi. Anzi, contribuiscono paradossalmente a ritrarre scenari dove la semplicità, la genuinità e, perchè no, la purezza del popolo si illuminano in nome del riscatto sociale. ‘Ntonio Esposito, il personaggio interpretato da Leveque, cerca un posto al sole in un anfratto di società molto lontano dalle sue origini di scugnizzo. Lo fa per concedere al figlio che sta per nascere gli “onori” di una paternità regolare. Lotta, non senza acume e scaltrezza, per assicurasi un lavoro stabile, ma soprattutto dignitoso. Uno spettacolo preparato con la riconosciuta abilità dalla compagnia Oplontis, frutto di un prolifico ventennio di lavoro profuso nell’ambito dell’attività teatrale amatoriale. Di notevole impatto l’impianto scenico soprattutto nel secondo atto quando domina il palcoscenico la celeberrima “Rumba degli scugnizzi”, il brano musicale che da decenni ha valicato i confini della commedia per la quale era stato composto e il cui travolgente ritmo riesce più di ogni altra architettura artistica a trasmettere suggestioni molto intense e rare. GIUSEPPE CHERVINO dal settimanale TorreSette del 25 gennaio 2013