A cura della Redazione
Dall’adolescenza alla maturità. Nella vita come nel teatro. Il percorso artistico della compagnia “I Senzartenèparte” giunge ad una tappa fondamentale e si guarnisce di un’altra perla: “La zia di Carlo”, commedia brillante scritta dall’autore inglese Brandon Thomas nel 1892. Ambientata nello stesso anno, viene presentata a Londra nell´inverno successivo per una serie record di 1466 repliche. La storia si sviluppa sui paradossi e gli intrecci tipici dell’anglosassone commedia vittoriana. Due studenti dell’Università di Oxford, Carlo e Giacomo, sono in attesa della visita di una vecchia zia proveniente dal Brasile, donna Lucia de Alvadorez. Approfittando dell’occasione, i giovani invitano nel loro appartamento le ragazze di cui sono innamorati, Kitty e Amy. La zia, però, a causa di impegni improvvisi, comunica che non può rispettare l’appuntamento. Per non mettere in fuga le ragazze, è necessario ricorrere ad uno stratagemma: sostituire donna Lucia con qualcuno che riesca a recitarne la parte. Il college è frequentato da uno studente, Federico, amico di Carlo e Giacomo, che viene «costretto» a travestirsi ed a spacciarsi per donna Lucia. Il testo nascondeva una trappola: lo sconfinamento nella farsa (e “La zia di Carlo”, nonostante la vetustà, non è stata scritta con questi presupposti) a causa dell’incalzare dei toni della vicenda raccontata. Non era facile contenere i contorni e le sfumature di personaggi ai limiti del grottesco senza tracimazioni di gestualità e linguaggio. Un’operazione non riuscita, tra l’altro, a mostri sacri del palcoscenico come Lando Buzzanca che, quando ha rappresentato la stessa commedia, si è «autorizzato» liberi quanto discutibili adattamenti. I giovani attori torresi, invece, con brio, arguzia e vivacità hanno bypassato questa insidia, sempre in agguato per l’intero testo. Un autentico esame di maturità artistica che tutta la compagnia ha superato con disinvoltura, consapevolezza, spontaneità. Da sottolineare l’eleganza, l’ironia, l’attendibilità, il gusto (mai volgare) conferito al suo personaggio da Esmeraldo Napodano quando è stato chiamato ad indossare i panni femminili della sosia di donna Lucia de Alvadorez (la zia di Carlo). Un’interpretazione estrosa, disinvolta, spigliata, autoritaria, coinvolgente che ha elevato lo spessore della rappresentazione già di per sé corposo grazie anche al lavoro prezioso di Antonio Annunziata, regista dello spettacolo. «Dopo l’esperienza di “Johnny Belinda”, d’accordo con i ragazzi, eravamo convinti di tornare in scena con un commedia brillante – sottolinea Annunziata - e, in un primo momento, c’era Viviani in cima ai nostri pensieri. Poi ci siamo chiesti: perché non riprovare con un testo in lingua?». E, in effetti, proprio la drammatica “Johnny Belinda” ha delineato per i Senzartenèparte una sorta di spartiacque che, una volta valicato con successo, è andato ad accrescere sensibilmente i confini artistici del gruppo. GIUSEPPE CHERVINO Dal settimanale TorreSette del 7 dicembre 2012