A cura della Redazione
E’ la voglia di raccontare le storie di quelle persone che, quotidianamente, combattono o hanno combattuto le mafie, senza la ricerca di futili eroismi, ad aver spinto Mario Gelardi a dar vita al progetto, riuscito, de “La giusta parte - Testimoni e storie dell’antimafia”. Pubblicato dalla neonata casa editrice Caracò, l’opera è un’antologia contenente racconti che, partendo da storie vere, hanno come scopo quello di riportare alla memoria fatti e persone troppo presto caduti nel dimenticatoio. Attraverso la narrazione di queste storie, gli autori hanno voluto dimostrare che le mafie, nonostante il loro affliggente potere, non hanno ancora vinto, che ci sono state, e ci sono tuttora, persone che non chinano la testa di fronte alla loro sanguinosa violenza e che, quando si sono trovate di fronte al bivio tra onestà e criminalità, hanno scelto di fiancheggiare la “giusta parte”. Arriva un momento nella vita in cui, volenti o nolenti, dobbiamo fare la nostra scelta e, come ci racconta Alessandro Gallo, uno degli autori del libro e presente, domenica 18 dicembre, al Caffè Letterario, non sempre è facile o così evidente. A 14 anni scopre che sua cugina, Cristina Pinto, è la prima donna killer e che suo padre è un affiliato al clan degli Scissionisti. “Due persone non possono compromettere il valore di un’intera famiglia, così come poche migliaia di abitanti non possono compromettere una regione intera”. Purtroppo, come ci racconta Mario Gelardi, non sempre si ha questa possibilità di scelta in quanto a molti ragazzi, nati in famiglie affiliate ai clan, non viene consentito di conoscere l’altra faccia della medaglia, di approcciarsi ad una vita fatta di senso civico e responsabilità, invece di vigliaccheria e violenza. Protagonisti delle storie sono, tra gli altri, Peppino Impastato, Mauro Rostagno e Salvatore Nuvoletta. Proprio della storia di quest’ultimo ci vengono letti alcuni pezzi, da Carlo Caracciolo, scritti da Marina Indulgenza. Nato a Marano, a 17 anni già carabiniere, bramoso di giustizia e legalità, viene ucciso a 20 anni nei pressi di Casal di Principe. A lui è intitolato il centro sportivo polivalente, confiscato a Francesco Schiavone, di Casal di Principe e, proprio partendo da questa notizia, la scrittrice ha immaginato l’amicizia di Salvatore con un atleta, anch’esso giovane, campano. I due, nel finale del racconto, s’incontreranno prima di giungere all’apice della loro vita e carriera. L’atleta è diretto verso la vittoria ai campionati regionali d’atletica, mentre il carabiniere, verso il suo assassinio. Questo libro, a mio avviso, ha un doppio pregio: oltre al merito di riportare in auge storie di uomini, più o meno noti, che hanno messo al primo posto l’amore verso la propria città, mette soprattutto in luce come questi non siano per niente degli eroi, capaci di azioni impossibili ai più, ma semplici personaggi, vogliosi di cambiamento e sospinti “solo” da un forte senso di responsabilità civile. Ed è proprio per questo motivo che noi tutti dobbiamo impegnarci a proseguire, a testa alta, nel percorso tracciato da questi uomini, affinché sia garantito a tutti il diritto di scegliere e vivere dalla “giusta parte”. MARCO SEPPONE (dal settimanale TorreSette del 23 dicembre 2011)