A cura della Redazione
Lanzetta, torrese e restauratore doc C’è un’altra Torre in giro per il mondo. Fatta di tanti nostri concittadini che hanno cercato fortuna altrove, sia in Italia che all’estero. Molti di essi sono divenuti famosi: basta ricordare Dino e Aurelio De Laurentiis, Tullio De Mauro, lo scomparso Michele Prisco; ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo. Migliaia di altri torresi, pur restando nell’anonimato, hanno contribuito, con il loro lavoro, allo sviluppo culturale, economico, politico e sociale delle comunità nelle quali hanno vissuto e operato. Altri ancora, pur non diventando celebri, si sono distinti in diversi campi ed hanno “esportato” il loro ingegno ovunque. E’ proprio di uno di essi che vogliamo parlarvi, di un giovane che ha mosso i primi passi della sua carriera nella nostra città e che poi, per affermarsi definitivamente, è stato costretto ad emigrare in Umbria, ad Orvieto, dove vive. Si chiama Francesco Lanzetta e, nel suo genere, è un vero e proprio artista. Infatti è specializzato nel restauro e nella riproduzione di opere d’arte ed ha estimatori persino all’estero. Eppure ha cominciato come autodidatta, prima facendosi notare con mostre di suoi quadri (faceva parte del Gruppo Artisti Torresi) e poi, seguendo un corso di restauro per due anni presso gli scavi di Pompei. E’ stata questa la sua “scuola”, anche se l’arte ce l’aveva nel sangue (il padre Antonio e il nonno Pietro erano pittori dilettanti). E subito il suo talento è stato notato dal proprietario dell’hotel Principe di Pompei, che gli ha commissionato, vent’anni fa, due riproduzioni: un mosaico di fauna marina (il cui originale si trova al Museo Nazionale Archeologico di Napoli) e un affresco del Macellum di Pompei, scomparso da secoli, ma trasmesso ai posteri da un acquerello di un artista francese. Questi suoi primi “capolavori” sono esposti, da allora, nel noto albergo pompeiano. E anzi, a questo suo esordio artistico è legato un episodio curioso. Diversi anni dopo, una coppia di facoltosi americani ha potuto ammirare in quell’hotel le due opere di Francesco Lanzetta e ne è rimasta talmente entusiasta da effettuare una ricerca per rintracciare il suo autore, nel frattempo trasferitosi ad Orvieto. E quando ciò è avvenuto gli ha commissionato la riproduzione di tre affreschi antichi che, una volta realizzati, sono “volati” a bordo di un aereo fin negli Stati Uniti dove ora sono esposti nella lussuosa villa di quei “ricconi”. Ma altre riproduzioni realizzate da questo artista si trovano in luoghi più prestigiosi: una copia della statua “Uomo seduto”, il cui originale è negli scavi di Pompei, è stata acquistata dal Memorial Museum della Nuova Zelanda e una copia della statua del proconsole romano Marco Nonio Balbo, protettore dell’antica Ercolano (il cui originale è stato rinvenuto negli scavi di questa città), è visibile sulla terrazza di quegli scavi con a fianco una foto del nostro concittadino e la scritta “Calco a cura di Francesco Lanzetta, Orvieto”. E persino dalla Cina è stato contattato per la sua bravura nel riprodurre opere d’arte! Sarebbe riduttivo, però, limitare il suo campo artistico alla sola riproduzione di capolavori dell’antichità romana. Francesco Lanzetta è anche e soprattutto un bravissimo restauratore. Nella nostra città, infatti, ha restaurato gli affreschi adiacenti alla piscina della villa di Poppea, con scene di piante ed uccelli, tra cui un bellissimo pavone, un puttino con oca, una natura morta. Ma oltre a restaurare affreschi di Oplonti, è intervenuto per effettuare numerosi lavori di restauro negli scavi di Pompei (case dei Casti Amanti, del Gladiatore, della Caccia, ecc.) di Ercolano, nella villa 6 di Terzigno, nella cappella Caracciolo della chiesa di San Giovanni a Carbonara a Napoli. E poi, ancora, nel Palazzo Lateranense e nel museo archeologico di Roma, nel Colosseo, alla Fontana di Trevi e al ponte Sisto a Roma (di cui ha diretto il coordinamento dei lavori), e in tante città italiane tra le quali Orvieto, Assisi e Spoleto. E proprio in questi giorni ha ottenutol’affidamento dei lavori di restauro della Torre dell’Orologio ad Orbetello. Insomma questo “figlio di Torre” si è fatto onore nella nostra città, in giro per l’Italia e nel mondo. E rappresenta solo un esempio, uno dei tanti, del talento dei nostri giovani che, purtroppo, per potersi esprimere al meglio, sono costretti ad emigrare. SALVATORE CARDONE