A cura della Redazione
Sanremo 2008: micidiale flop Si è consumato, anche per l’anno in corso, l’evento Sanremo. Come tutti già sanno, è stato un micidiale flop. Roba da dimissioni in massa per tutti i massimi dirigenti. A partire dall’inossidabile, e sempre più ingessato, Dal Noce. Anzi di quest’ultimo, notoriamente “persona” di Berlusconi, bisogna dire che è riuscito finalmente in uno degli intenti strategici di Canale 5: affossare Sanremo. Bisogna dire, però, che il Gran Pippibaudi è stato, sul campo, il vero artefice della catastrofe, avendone avuto la responsabilità totale. Perché? Con tutto il rispetto, la simpatia, l’ammirazione che provo per questo strenuo professionista, a suo modo innovatore della tivvù, ritengo che il suo tempo sia passato. Nonostante la presenza di Piero Chiambretti, sempre vigile, attiva e di funzionale “spalla”, il pippòn nazionale non ha funzionato; anzi, la cosa peggiore è che insieme non hanno creato alcuna miscela particolare. La presenza dei due, non accompagnata dalla verve di una comicità reale, era troppo inutilmente dialogata, risultava noiosa, sostanzialmente prevedibile. Baudo non è un comico, è un “Gran Cerimoniere”; che magari sa prendersi in giro; sa dare spazio ad altri; ma non sa distaccarsi dal ruolo che gli è oggi più staticamente consono, quello di notaio e accertatore del successo altrui, vero o presunto che sia. E certificare un successo ottenuto, per il semplice fatto di parteciparvi, era la mission della rassegna canora di Sanremo. Ed è uno scopo per cui ha mantenuto sostanzialmente inalterato il suo richiamo, e in cui la parte canora è prevalente, nonostante le massicce iniezioni di spettacolo “altro”, che hanno fatto sbrodolare le serate nel numero di cinque: intuizione, giusta negli anni ‘90, che fu proprio di Pippo Baudo. L’anno scorso, l’accoppiata Baudo-Hunzinker riuscì, anche se non benissimo, ma certamente meglio di questa 2008. Per avere un risultato degno di nota bisogna arrivare al 2005, con Bonolis, in cui lo share era sistematicamente più del 50%. Ma il Del Noce, veramente attento agli interessi del suo sponsor politico Silvio B., si guardò bene dal riconfermarlo, tanto che lo fece ritornare in Mediaset. Con questo presentatore-entertainer, il Festival prese un andamento diverso, molto più aggressivo, velocizzato. Anche se sempre di supporto alle canzoni, lo scenario era molto più vario, e la presenza di Bonolis assicurava una maggiore omogeneità allo spettacolo, senza pause avvertibili. Gli stessi siparietti comici erano messi in scena con autorevolezza e senso dei tempi, all’interno del ritmo generale, dallo stesso presentatore. Pippibaudi si è sentito attaccare da tutte le parti. E alla prima conferenza stampa, dopo la catastrofica prima serata, ha difeso a oltranza il suo operato, dicendo che la sua è la tv del non accapigliamento in diretta, delle non-parolacce, delle non scenate d’erotismo d’accatto: era la tv “di qualità”. Modo di fare spettacolo del tutto scomparso. Non so se è così. E’ certo che, senza difendere le varie “Isole” e ”Grandi Fratelli”, anch’essi divenuti routine, e altrettanto noiosi, se quella di Baudo è la “qualità”, vorrebbe dire che per la tv non c’è futuro. Perché le forme innovative che reggono nel tempo, sono quelle che mettono insieme intelligenza e spettacolarità; non è necessario “punire” per essere credibili culturalmente. Prendiamo ad esempio Gabriele D’Annunzio, di cui ricorre il settantennio della morte (1863-1938). Oggi sarebbe da riproporre, perché coniugava con intelligenza e spregiudicatezza, ciò che a Baudo, e a tanti altri, manca completamente: ovvero senso delle proporzioni e capacità di comprendere il “senso” del proprio presente. D’Annunzio aveva reso la sua esistenza uno spettacolo: il suo vero “capolavoro” fu la sua vita, egli era “L’Inimitabile”. Dettava le mode, i comportamenti e i gusti: alcuni dei quali gli sopravvissero ben oltre la sua dipartita. Oggetto di attacchi di molti intellettuali, tra i quali Benedetto Croce, che gli fu irriducibile nemico, ad avviso di molti critici attuali, egli seppe con autorevolezza esprimere scelte che coglievano lo “Spirito profondo”, a dirla hegelianamente, del suo tempo. Aprì la boccheggiante e provinciale cultura italiana ad un confronto più stringente coi classici contemporanei italiani, e non solo greco/latino-classici, ma anche russi, tedeschi. Nella civiltà dello spettacolo, che allora muoveva i primi passi, fu un innovatore assoluto; copiato dal Fascismo, ne fu devitalizzato e sostanzialmente messo da parte. CICCIO CAPOZZI