A cura della Redazione
Grande entusiasmo e partecipazione domenica sera da parte di un pubblico esaltato e commosso dalle musiche de “Gli Alberi di Canto Teatro”, che non hanno prodotto solo divertimento ma anche passione politica per una rivoluzione non arrivata a compimento. La carta costituzionale, concepita dai Padri Costituenti in un magico momento di ritrovata unità del Paese, seguita alla Resistenza, deve difendersi dagli attacchi di chi cerca di cambiarla senza che sia mai stata attuata. La musica popolare è da sempre un banco di prova in cui il maestro Roberto De Simone dà il meglio di se stesso, riuscendo ad incontrare l’emotività del pubblico su un’asse in equilibrio in cui la tradizione non è ancora folklore. La tradizione popolare italiana ha plasmato l’identità di un Paese che ha imboccato un percorso virtuoso dopo sofferenze enormi: la guerra, la Resistenza e la guerra civile. Molti i pezzi di ogni genere composti dal Maestro. Uno per tutti “Giuvanniniello”, eseguito da un impareggiabile Giovanni Mauriello, reso indimenticabile insieme al resto della “Compagnia di Canto Popolare” ne “La Gatta Cenerentola”, che ha testimoniato l’originalità di De Simone ed aperto alla cultura nazionale lo scrigno della musica popolare napoletana. Non meno bravi gli interpreti. Musicisti e cantanti che si sono esibiti domenica sera sugli spalti del Maschio Angioino sotto l’attenta regia di Mariano Baduin. Il fatto che la manifestazione sia stata patrocinata dall’Associazione Nazionale Partigiani Italiani è un merito in più che nulla toglie al divertimento di ritrovarsi in un’Italia delle Regioni, da percorrere seguendo il nastro tricolore che attraversa le sue città e le province, nei più svariati dialetti che sono un autentico patrimonio culturale da valorizzare. Lo spettacolo parte con i canti della fatica, che nei ritmi musicali assordanti diventano canti della rivolta contro gli oppressori. Da questi si snodano gli altri motivi: dai tempi di lavoro a quelli dei giorni di festa, con i semplici e divertenti svaghi delle filastrocche ballate. Per finire le canzoni degli innamorati, quelli dal carcere, i canti della malavita, le canzoni delle protesta, i canti del servizio militare. I canti politici chiudono il cerchio: il ritorno è al lavoro, considerato giustamente come elemento fondante dell’unità del Paese dal primo articolo della Costituzione. Una bella serata di musica, poesie e libera partecipazione civile agli ideali della Resistenza. MARIO CARDONE