A cura della Redazione
A Nino Vicidomini il premio di narrativa "Noi che". Lo scrittore di Trecase si è aggiudicato l´importante riconoscimento con il racconto "Un sussidio speciale". Una storia d’altri tempi, narrata con la dolcezza che le memorie care generano nel cuore di ciascuno, che merita di essere letta con attenzione, per ricavarne numerosi messaggi emozionali ed educativi. Di seguito, ne pubblichiamo il testo. Negli anni cinquanta del secolo scorso le donne sposate della nostra zona assumevano il soprannome attinente alla professione dei loro mariti. Da noi, che si andava a gonfie vele con l’arte bianca, c’èra ’a ’mpastatóre, l’impastatrice ossia la moglie di colui che provvedeva segretamente ai dosaggi per l’impasto delle svariate sorte di pasta alimentare. C’erano poi le consorti degli altri artigiani o professionisti distinte sempre allo stesso modo (’a faligname, ’a cancellèra – la moglie del falegname e del cancelliere) e così via. Antonietta, vedova di un mediatore di equini dell’entroterra nolana, era conosciuta come ’a ciucciàra giacché il marito andava da una fiera all’altra vendendo, in prevalenza, ciuchi. Rimasta sola, si era ristabilita sulla costa vesuviana, a Torre Annunziata, sua città di origine. Canuta e tanto arzilla, anche se leggermente ricurva per la dura fatica fatta nel corso degli anni di dura battaglia, abitava in uno dei bassi in località bosco del monaco, una strada tranquilla, affacciata al Vesuvio. Viveva da sola, talvolta le teneva compagnia un nipote, mio coetaneo e compagno di giochi. Era lei che nella calura estiva ci sottraeva alla strada per condurci al mare. Radunato un gruppetto di scugnizzi, con il consenso dei rispettivi genitori, la carovana si muoveva in destinazione del lido comunale, sulla marina del sole. Nel tragitto sicuro, per il limitato traffico veicolare d’allora, i più grandicelli trasportavano a spalla una grande coperta e l’ombrellone da piantare sull’arenile attorno al quale, con le mollette per stendere la biancheria, si fissava tale coperta tenuta al suolo da appositi cumuli di sabbia. Ne veniva fuori una suggestiva tenda ove depositavamo cibarie e indumenti. E poi… tutti nei flutti del mare, quel mare che tuttora carezza i miei sogni incantati. Quel mare ucciso dopo, dall’incuria dell’uomo moderno. Ma non tanto per questo Antonietta permane nei miei ricordi infantili bensì per un altro motivo, per un episodio che si ripeteva con una certa frequenza nel corso di quegli anni di magica spensieratezza. Mi diceva: – Stasera vieni, dobbiamo scrivere una lettera – Io, sapendo che, al solito, mi avrebbe remunerato, non mancavo di andarci. Aveva una cospicua provvista di buste e fogli con relativi tagli di francobolli e al mio arrivo me li faceva già trovare pronti, poi, come per dedizione, apriva il grande tiretto del comò, estraeva una biro e me la consegnava al pari di una reliquia. Erano i primi modelli a sfera che andavano a sostituire le penne a puntine da inzuppare nei calamai colmi di anilina nera. Tenerla tra le mani mi riportava agli anni delle elementari e mi si presentavano macchie e scarabocchi che facevano scendere il voto; che colpa si aveva se l’inchiostro non era corposo e scivolava dal pennino combinando ’nguacchi ? Ho sempre pensato che i bidelli per allungare il composto lo diluivano aggiungendo ulteriore acqua. Prendevo posto vicino al tavolo consunto che troneggiava al centro della misera stanza, scarsamente illuminata, e aspettando la dettatura della missiva sistemavo la mazzetta di fogli riposti sul piano, li sistemavo accuratamente uno sull’altro; ancora oggi non mi trovo a prendere appunti su di un singolo pezzo di carta. Sapevo già che dovevo scrivere a qualche persona importante di Roma ma il fatto non mi turbava per niente e aspettavo pazientemente. Nel frattempo Antonietta andava rovistando nei bicchieri della sua antica cristalliera alla ricerca dell’indirizzo del nuovo destinatario. Appena lo trovava, con tutta la sua flemma, veniva a sedersi al tavolo ed incominciava la solita litania. - Carissimo signor ministro, sono una donna sola e malata, vedova da molti anni. Abito in una casa umida e non ho nemmeno la possibilità di comprare le medicine per curarmi. Vi prego tanto di farmi avere un sussidio speciale per tirare avanti in questi giorni difficili. La madonna vi accompagni in quanti passi fate. Cordiali saluti Galpendieri Antonietta Segnavo l’indirizzo del mittente in calce alla lettera e gliela porgevo per la firma finale che prendeva altro tempo stando alla lentezza della sua stentata scrittura. Dopo averla firmata, tenendola in mano la portava in lontananza dagli occhi per focalizzarla meglio e per la consueta esclamazione: - figlio carnale mio… comme scrive bello!..– Io, che frequentavo il primo anno delle scuole medie, me ne compiacevo senza farlo apparire. A questo punto cominciava un altro rituale anch’esso alquanto flemmatico. Piegava il foglio in quattro e lo inseriva nella busta gialla; con la lingua inumidiva il collante della chiusura e la sigillava pressando l’indice sui lembi. Una volta che l’aveva affrancata me la ridava per scriverci sopra indirizzo e mittente. A spedirla se ne occupava personalmente lei. Terminato il lavoro, si rialzava per ritornare a rovistare in quegli enormi tiretti del comò e ne cavava fuori sempre qualcosa di buono da mangiare offrendomelo generosamente. Questa operazione si ripeteva ogni qual volta Antonietta riusciva a procurarsi un indirizzo importante. Di tanto in tanto l’espediente le fruttava bene, ricordo che riuscì finanche a commissionare al falegname del quartiere una vetrina per l’ingresso della sua abitazione accaparrandosi un poco di luce in più per il suo umido basso. Quando la cosa andava in porto, era così appagata che mi chiamava apposta per mostrarmi il vaglia ricevuto promettendomi una lauta ricompensa dopo averlo incassato dalle poste ed io ero altrettanto contento per lei e di quelle poche lire che venivano a fare la mia felicità. Non mi ricordo con esattezza i nomi dei tanti destinatari di quelle missive, ma sono certo di avere interpellato tutti i signori onorevoli di quel tempo, nessuno escluso, forse avrò scritto anche al capo dello stato in persona. Come recita una vecchia canzone, quelli eran giorni. Erano giorni che si lasciavano vivere senza larghe pretese e la felicità era per davvero una piccola cosa. Ironia della sorte!? Negli ultimi anni della sua esistenza in vita Antonietta si dedicò con amore materno all’adozione di un bimbo abbandonato da una sua nipote, una scapestrata che lasciò il tetto coniugale per abbracciare la croce del peccato dandosi alla prostituzione.