A cura della Redazione
Le statistiche interne della Soprintendenza Archeologica hanno registrato un numero di visite in calo agli Scavi di Pompei durante le festività pasquali. Le cifre forniscono la dimensione del fenomeno. A fronte di 32 mila 700 presenze registrate nei giorni di sabato santo, Pasqua e Lunedì dell’Angelo del 2011, le visite di turisti italiani e stranieri si sono attestate a 26 mila 300 durante le stesse giornate di quest’anno. Ora le considerazioni di fondo che nascono da questo dato statistico sono due: la prima positiva, la seconda di segno opposto. Da un lato bisogna tener presente che le avverse condizioni meteorologiche hanno sconsigliato a molti le gite fuori porta. Con la pioggia e il vento dei giorni scorsi, gli escursionisti locali hanno rimandato ad altra data la “Pasquetta negli Scavi”. Solo gli stranieri, che avevano sostenuto i costi di un viaggio all’estero, hanno affrontato le inclemenze di una “pazza primavera” al fine di non privarsi di una meta privilegiata nell’immaginario collettivo. Ne discende la considerazione positiva che, nel bene o nel male, gli scavi di Pompei, insieme ad altre attrazioni campane, restano il nocciolo duro della domanda turistica internazionale. Un’attrazione, quella del parco archeologico vesuviano, che non finisce mai di stupire la gente, generando una fama intramontabile. Si tratta di scenari unici, culturali o naturali, che ritornano inevitabilmente sulla cresta dell’onda dopo ogni disavventura o emergenza ambientale. La risorsa che ci ha fatto sempre rialzare dalle cadute. La considerazione opposta, quella negativa, nasce invece dal fatto che i numerosi inconvenienti dovuti alla precarietà del sito archeologico di Pompei, con i frequenti crolli di intonaci da muri, e le infiltrazioni d’acqua che hanno danneggiato gli affreschi murali (a partire da quello della Schola Armaturarum), hanno comportato indagini della magistratura al fine di chiarire se vi sono trascuratezze nella recente gestione del monumento, e la preoccupazione del ceto scientifico nazionale ed internazionale di perdere segni fondamentali delle radici della cultura europea. La preoccupazione è sorta anche nel ceto turistico locale, che trova il suo fondamento sull’archeologia, a cui sono collaterali business che vanno dai tassisti alle bancarelle di souvenir e agli acquafrescai, per arrivare ai gestori di alberghi, bar e ristoranti fino a settori più “professionali” come le guide turistiche, la case editrici di manuali d’arte e storia su Pompei e le nuove professioni dei giovani ricercatori: studiosi dei beni culturali, architetti, allievi dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Giovani creativi che si propongono con temi innovativi per “leggere” Pompei sotto diverse “lune”. MARIO CARDONE