A cura della Redazione
“Il Terzo occhio”. Questo il titolo della Mostra collettiva di fotografia che si terrà dal 28 marzo al 26 aprile 2009 al Museo Gracco di via Diomede a Pompei. La rassegna verrà inaugurata venerdì 27 marzo alle roe 19. Espongono: ASTRID – BOLLINGER – CARBONE – DONAGGIO – GIACALONE – KARIKESE – MARGHERI – PINTO – ROSAMILIA - SESSA. PRESENTAZIONE CRITICA Secondo i Mestri indiani, come esseri umani possediamo un altro “occhio”, detto “il terzo occhio” o “l’occhio singolo” (shiv netra). Kirpal Singh Ji (6 febbraio 1894 – 21 agosto 1974), famoso mistico indiano, una volta ebbe a dire: “Finché non aprirete quel terzo occhio (il che è possibile solo quando siamo nel corpo umano), non andrete da nessuna parte. È l’occhio dell’anima, non dell’intelletto né delle facoltà esteriori. Siamo corpi animati, entità coscienti operanti attraverso la mente e le facoltà esteriori. Quell’occhio interiore si apre quando la nostra anima, la cui espressione esteriore è l’attenzione, si ritira alla sua sede nel corpo, ossia dietro gli occhi. … Finché l’attenzione stessa non si ritira dall’esterno e non si libera al di sopra delle facoltà esteriori, non possiamo conoscere chi siamo veramente. In modo simile, il filosofo nolano Giordano Bruno (Nola, 1548 - Roma, 1600) distinse tra sensi esterni, di cui la vista è il principale, e i sensi interni, che ritengono le forme percepite dai sensi esterni. Secondo Bruno, se questi sensi vengono purificati, come in un processo alchemico, ovvero allontanati dalla “scoria” delle “apparenze”, consentono di compiere operazioni di ricerca fondate, che è proprio la capacità del “terzo occhio”. Il “terzo occhio” di questa mostra è un evidente richiamo all’obbiettivo della macchina fotografica, che diventa per i fotografi un’estensione del loro “terzo occhio” naturale in virtù della propria capacità di percepire e rappresentare, attraverso il mezzo fotografico, sensazioni, idee e sentimenti. Ed è appunto questa capacità che fa della fotografia una forma d’arte autonoma, come si è cercato di affermare negli Stati Uniti fin dagli anni ’30 e in Europa più di recente. Un po’ prima, verso la fine del XIX secolo, Giovanni Ruskin, critico d’arte e scrittore inglese, commentando entusiasta una fotografia raffigurante Venezia, disse: “… è come se un mago avesse rimpicciolito la realtà, per portarsela via in un paese incantato”. Fin dagli albori della fotografia c’è stato chi sosteneva che le immagini fotografiche, al pari dei quadri dei pittori, potevano andare oltre la riproduzione fedele della realtà, per creare qualcosa di totalmente diverso, frutto dell’interpretazione personale dell’artista. Ne discende una suggestiva definizione di fotografia d’arte, che considera le foto scattate dai fotografi per raccontare le proprie storie persino indipendenti dal contesto narrativo, ambientale, o sociale, in cui erano nate. Un’affermazione che sottolinea la capacità di vita propria delle foto, una capacità che, in ultima analisi, discerne ciò che è arte da ciò che rimane una buona foto. Il fotografo Alessandro Vasari, figlio d’arte, discendente di una storica famiglia di fotografi romani, ha di recente confessato: “Sono dominato dal bisogno di riprodurre sull´emulsione la sensazione di bellezza che provo in un momento apparentemente insignificante ma invece pieno di cromatismi e di chiaroscuri insostituibili. Allora il "click" diventa il rumore più affascinante, che scandisce lo sguardo fotografico e lo fissa in uno spazio di tempo scelto come unico e irripetibile, grazie alla luce che disegna il fotogramma. La luce attraversando l´obiettivo vive nel fotogramma, essa è l´incantesimo in cui ogni fotografo si deve perdere ogni volta che può”. Orario di visita: mar.-dom. 10,00-13,00.