A cura della Redazione

Il giovane collega giornalista e amico Dario Ricciardi ci ha inviato una lettera, che volentieri pubblichiamo, con la quale ricorda la sua amata e compianta nonna Irene.

Mia amatissima nonna Irene,
sono giorni che desidero scriverti questa lettera ma non ho mai avuto il coraggio di farlo.

Tradurre il cuore è davvero un'impresa ardua. Non basterebbe un libro, forse neppure una vita per descrivere nella maniera migliore e più chiara possibile l'infinito amore e l'immensa stima che provo nei tuoi riguardi.

La tua assenza è un pugno in pieno stomaco, un macigno che mai riuscirò a mandare giù. Tutto intorno a me evoca la tua presenza, che sembra già lontana anni luce. Mi manca tutto di te, i tuoi baci, le tue carezze, le sottili confidenze che solo noi nipoti eravamo in grado di comprendere.

Mi mancano i tuoi scherzi, le tue risate, i tuoi sguardi di complicità, i tuoi sentimenti, quelli che hai cercato sempre di celare, ma che bastava un incrocio di sguardi per intuirli. Nella mia mente risuona ancora la tua voce come una dolcissima melodia nella quale cullarmi.

Ricordo quando, orgogliosa, dicevi a tutti: "Mio nipote è giornalista. Quell'evento lo presenterà lui!", rendendomi felice. Quanti ricordi affiorano alla mia mente, quanti momenti che rimarranno eternamente nel mio cuore.

Eri e sei il pilastro di tutti noi, il pilastro di generazioni che hai cresciuto sempre nel rispetto delle regole, dei buoni costumi e delle buone maniere, con il tuo disarmante sorriso che nessuno potrà mai sottrarti.

Sembra ieri quando ti ho vista scivolare in acqua come forse neppure la migliore Federica Pellegrini sarebbe riuscita a fare. Non voglio dirti altro, ma voglio solo aggiungere che se oggi sono l'uomo che sono è solo ed esclusivamente merito tuo, di mia nonna Licia, dei miei straordinari genitori e della splendida famiglia che mi hai donato.

Dirti grazie è davvero troppo riduttivo, ma è l'unica parola che mi sento di dirti dal profondo del cuore.

La tua memoria sopravviverà indelebilmente nelle nostre menti, anche in nome dell'immarcescibile nonno Alfonso.

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