A cura di Enza Perna

«Pronto, lei è una giornalista? La prego ho bisogno di aiuto». Era la voce di una donna disperata. L’urlo di una moglie che vuole combattere contro un destino crudele.

Teresa Olando, di Torre Annunziata, si rivolge a noi per raccontare la sua storia. Ci ospita in casa sua, un ambiente caldo e accogliente. Poche scale. Foto e ricordi ornano le stanze. Ma un angolo cattura la mia attenzione. Decine e decine di confezioni di medicinali. Carte e cartelle cliniche messe in ordine. Con movenze delicate e stanche si siede al tavolo. Il suo volto cupo e triste. Una donna esile, semplice. Con sguardo deciso prende fiato e dice: «Mio marito è malato di SLA». Scende il silenzio. Improvvisamente le tante domande preparate non avevano più senso.

Quella non doveva essere un’intervista, ma un lungo colloquio solidale con una moglie e madre che porta con sé un grande peso. Teresa inizia il suo racconto. Un incubo cominciato nel 2014, anno in cui suo marito Vincenzo Fiorentino, di 50 anni, dopo una serie di controlli e varie sintomatologie, viene sottoposto ad un intervento di esportazione totale della tiroide. Un’operazione delicata al Policlinico di Napoli.

Sembrava che tutto fosse risolto. Vincenzo pareva aver ripreso quei chili persi per il morbo di Basedow (malfunzionamento della tiroide). 

Un giorno, rientrato da lavoro, Teresa si accorge che Vincenzo era affaticato. «Mi sono stancato per salire queste poche scale», le disse. La donna da subito, osservandolo, vide e notò qualcosa di strano. Passavano giorni e Vincenzo era sempre più stanco. Non riusciva a camminare, inciampava, non poteva sorreggere gli oggetti. Subito la corsa al Cardarelli. Ancora una volta il ricovero. Il referto evidenziava una “neuropatia motoria”, una diagnosi non ancora chiara. Ma Teresa iniziava ad avere paura. Si guardava in giro. Sbirciava su internet. La ricerca su Google richiamava sempre la stessa sigla: SLA. Ma lei non voleva pensarci. Continuava a sperare. 

Vincenzo inizia la fisioterapia, che lo aiuta a fare piccoli passi. Si rialza, cammina, lavora. Ma sempre a fatica. Teresa, non convinta della diagnosi effettuata all’ospedale Cardarelli, si rivolge al Policlinico e ad una neurologa. Dopo la elettromiografia, l’idea iniziale di Teresa sembra diventare convinzione. Quella sigla le rimbombava sempre nella mente.  La neurologa scrive finalmente la diagnosi: sclerosi laterale amiotrofica. Il presentimento di Teresa, la sua paura diventa realtà. Da maggio 2016 inizia il calvario. 

«Affrontare una malattia del genere spaventa - afferma Teresa - soprattutto quando sei solo e non hai né un’assistenza né un punto di riferimento a cui rivolgere le tue mille domande. Abbiamo fatto richiesta per avere l’invalidità civile. Mio marito ha raggiunto solo il 75 per cento, non ottenendo nemmeno i permessi retributivi (la famosa legge 104, ndr). Ciò vuol dire che per fare visite mediche e psicologiche deve chiedere giorni di ferie al lavoro. Mio marito è un collaboratore scolastico - continua -, la neurologa lo ha definito idoneo al lavoro solo ed esclusivamente per aiutarlo psicologicamente perché fisicamente non ne ha più la forza. Ho chiesto al settore Politiche Sociali del Comune di Torre Annunziata di aprire per Vincenzo una cartella UVI (Unità di Valutazione Integrata, ndr) per inserirlo nel progetto dei malati SLA. Ma non ho avuto ancora alcun riscontro. Ho chiesto all’Asl di sovvenzionare i farmaci opportuni, ma mi dicono che possono solo concedere macchinari quando sarà allettato. Io non so a chi rivolgermi. Nessuno sa indirizzarmi. Nessuno mi dice chi contattare in caso di soccorso. Non c’è nessuno. Solo il vuoto», è l’amaro sfogo di Teresa..

Teresa contatta ogni giorno qualsiasi ente o associazione al fine di capire come agire e cosa fare per aiutare e affrontare questa malattia. Ha conosciuto una mamma di Napoli che ha sua figlia 40enne malata di SLA da anni. Cerca conforto da chi ha vissuto o sta vivendo questo dramma. Ma è sola. Vorrebbe capire, sapere, essere sostenuta. Ma al momento tutti tacciono. Solo telefonate e attese. 

«Abbiamo 4 figli - dice -, siamo nonni e mio marito non riesce più a tenere in braccio suo figlio o suo nipote. Ad ogni passo inciampa. Un breve tratto e si stanca. La SLA è una malattia degenerativa. Lui cerca di affrontarla con coraggio e forza d’animo. Sembra quasi far finta di nulla. Ma il suo animo è già combattuto. Noi non vogliamo compassione - sostiene tra le lacrime - vogliamo ciò che ci spetta. Non ho i mezzi economici per portarlo a Genova o in altre strutture lontane dalla nostra città. Ho ancora due bambini da accudire. Mio marito, cinque giorni su sette necessita della fisioterapia, ma non posso affrontare questa spesa. Deve assumere 20 medicine al giorno e non ho soldi per comprarle. Sono disperata. Voglio denunciare la mia situazione. Il mio urlo di disperazione deve arrivare lontano». 

Teresa e Vincenzo. Due innamorati, due genitori che non sanno dare una risposta ai loro figli. Un bambino di 7 anni che ripete continuamente al padre che il dottore risolverà tutto e lo farà stare bene. Due sposi che hanno ben definito il loro destino.

Teresa, una moglie che vuole combattere per garantire a suo marito una vita dignitosa, alleviare quei dolori che arriveranno. Vincenzo, padre, marito e nonno che non sa fin quando potrà toccare e accarezzare quella donna che ha iniziato la battaglia per lui. 

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