A cura della Redazione

Don Antonio Carbone, sacerdote salesiano e presidente dell'associaizone "Piccoli Passi Grandi Sogni", che gestisce la comunità-alloggio per minori "Mamma Matilde", destinata ad accogliere ragazzi coinvolti in procedimenti penali, ci ha inviato una lettera nella quale parla della fiction Gomorra e del suo impatto sulla realtà criminale del territorio.

Una riflessione scaturita anche dalla venuta a Torre Annunziata di Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità Nazionale Anti Corruzione e magistrato impegnato per anni nella lotta alla criminalità organizzata.

Ho partecipato a Torre Annunziata all’incontro con il magistrato Raffaele Cantone. Era con me Ciro, un ragazzo di Scampia, accolto in Comunità per aver commesso una rapina. Mentre salutavamo le autorità presenti, mi rivolge una domanda sconcertante: vediamo Gomorra? E dell’incontro così forte ed entusiasmante nessuna riflessione a caldo, nessuna domanda sul marcio presentato, niente di niente. Eppure per me educatore è stata una boccata di ossigeno. La serie non la vedremo. E non c’entra il fatto che non abbiamo ancora Sky. Quest’anno non la vogliamo vedere. Perché?

Se le frasi raccontano, quelle di Gomorra, urlano. “Un uomo che può fare a meno di tutto non tiene paura di niente”: può sembrare una sorta di motto salesiano da insegnare ai ragazzi dell’oratorio. Sempre di Conte è un’altra “frase da Vangelo”: "Quando il pastore non ci sta le pecore se ne vanno tutte per i fatti loro”. Geniale, no? Altro che il più ovvio “quando il gatto non c’è i topi ballano”. E le frasi ripetute a memoria da Ciro e da tanti adolescenti: “Stai senza pensieri”, “Dovrei spararti in bocca”. E la frase più “educativa” di tutte, “I soldi fanno l’uomo onesto” e la famosa “Vieni qua, veni a pigliarti il perdono” (e gli spara in bocca, appunto).

In Gomorra il bene non è mai rappresentato. Cancellato. Si racconta un mondo dove le sole leggi vigenti sono quelle della criminalità: la sopraffazione, la violenza, la morte. In campo non c’è mai una via d’uscita dal sistema camorristico, ma solo la lotta insanguinata, tra i vari esponenti del male.

Da Caivano ad Afragola, dal Vomero al parco Verde di Caivano, da Torre Annunziata a Terzigno, nelle famiglie e nella mia Comunità a cena si discute più delle gesta di Genny, di Ciruzzo l'Immortale e del boss Savastano che del costo dei libri scolastici, delle bollette da pagare a fine mese, di come è andata la giornata.

Dalla fiction emerge una sorta d’involontaria esaltazione dello stile di vita mafioso. L’arte e la fiction, si dice, non possono essere costrette a un ruolo pedagogico. Giusto. Ma neanche alla spettacolarizzazione del mondo criminale, potrebbe essere la risposta.

Avere a che fare con la criminalità da parte di tante persone oneste è la dura realtà. Non vogliono lavare i panni sporchi in famiglia, ma non vogliono neanche che vengano esposti ai quattro venti, anche perché il passo dall’osservazione alla “derisione” è breve. A Torre Annunziata come a Scampia c’è chi vive anche abbastanza bene: chi non è stato rapinato, avvicinato, offeso, e non ha assistito ad atti di violenza.

Per fortuna. E si domanda perché, dopo essere stato così fortunato, debba ora guardarseli sul piccolo schermo come se fosse l’unica cosa presente sulla propria terra. Ciro nel pomeriggio mi ha avvicinato e mi ha detto che Cantone forse ha ragione: non è la disoccupazione che alimenta la camorra, ma la camorra che crea disoccupazione e fa scappare tanti che sui nostri territori vogliono scommettere e investire. Questo per oggi mi può bastare. Ma certamente questa riflessione non gli è nata guardando Gomorra.

Don Antonio Carbone

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