A cura della Redazione

Dopo la rapina alla farmacia Iovino, avvenuta sabato scorso, viene spontaneo chiedersi come sia diventata la vita di un commerciante a Torre Annunziata, con la crisi profonda che colpisce cittadini ed imprenditori, e con la delinquenza che sembra nuovamente spadroneggiare. Tasse alte, adempimenti asfissianti, affitti che ti strozzano e concorrenza dei grandi centri commerciali. Se si passeggia per le strade della città, soprattutto nella zona “sud”, ci si accorge di come la vita si stia spegnendo piano piano. Serrande abbassate, insegne spente. I negozianti non ce la fanno più. Game over! 

La situazione diventa perfino drammatica per quei commercianti costretti ad operare in un quartiere difficile come la “Provolera” (dal nome Polveriera, fabbrica di esplosivo costruita a Torre Annunziata nel 1652). Ed è appunto per capire questa condizione, abbiamo incontrato il titolare della storica salumeria “Alimentari Enza di Gianni Perna”, situata dal 1969 (quasi cinquant’anni) in via Parini, nel cuore del rione.

Un quartiere già molte volte sotto il giogo della malavita. “Provolera” sembra essere diventato sinonimo di “zona nera”, esplosiva, ancor più da quando sono arrivati i rumeni. Già, perché da qualche anno nel quartiere si è insediata una piccola comunità di cittadini dell’est europeo che vivono di espedienti vari e di elemosine. “Rumenolera”, così è infatti stato ribattezzato il quartiere dalle persone che ci vivono. Non è una questione di razzismo, ma di perdita d’identità, dicono nel popoloso rione.

La cultura rumena sta prendendo il sopravvento. Sempre più spesso queste persone cantano e ballano per strada, mangiano, bevono lasciando i resti per terra. Eppure, in un contesto difficile come questo, troviamo un commerciante che vive la sua quotidianità da oltre 31 anni. 
«Era uno dei quartieri più illustri della zona - racconta Gianni, 55 anni -. A pochi passi abitava la famiglia Prisco, c’era la scuola “Manzoni”, lo Spolettificio (tutt’ora presente, ndr). La gente perbene, insomma. Ero bambino quando mia madre Vincenza avviò questa attività, dapprima cantina, poi diventata alimentari. Le persone si rispettavano e curavano l’ambiente. Il cliente era affezionato a noi, siamo riusciti a diventare un punto di riferimento per tutti coloro che ci abitavano. Certo - continua Giovanni - non sono mancate le difficoltà; sul finire degli anni ‘80 sono iniziate le rapine a mano armata, poi le stangate delle tasse che tuttora rappresentano il limite maggiore per noi commercianti. Ma, in un contesto come questo, è ancor più difficile. Devi avere una personalità forte e irremovibile. Le persone non hanno sostegno e puntualmente ricorrono a me. Il “poi ti pago” è diventato abituale. Le aiuto finché non riescono a pagarmi. Ma la gratitudine è un optional. Il denaro non circola più come prima. Ora, data anche la presenza di molti rumeni - sottolinea ancora Gianni - sono costretto a pagare le bollette con le monete e smaltirle non è semplice. La concorrenza, poi, è spietata. Spuntano botteghe come funghi, vendono i tuoi stessi prodotti ma non pagano tasse e non sono in regola. E’ una concorrenza sleale. Io pago tutto, però, visto che sono puntuale alle scadenze, in particolare quelle con il Fisco». 

Sul volto di Gianni traspaiono sfiducia, tristezza e malinconia.  «Ho tanti amici colleghi che sono stati costretti a chiudere in diversi contesti - prosegue -. Un grande rammarico per me, perché è come se si spezzasse l’identità torrese, quel pezzo della nostra storia. Io sono ancorato alle mie radici, ho sempre amato questo quartiere che mi ha visto crescere. Ma oggi è diventato invivibile. Il cambiamento è netto, e non solo sul piano economico, con la riduzione drastica dei guadagni per via della crisi. A cambiare sono state soprattutto le persone, i residenti. Ogni giorno si presentano clienti con bollette, certificati medici, referti, avvisi di pagamento. Vogliono che spieghi loro il contenuto. Questa è forse una delle poche note liete di questa canzone stonata. Mi vedono come il dottore mancato, dato il mio diploma di perito chimico e l’iscrizione all’università. Ma da commerciante è pesante sostenere tutto questo. I giovani, poi, quelli che ho visto nascere, vengono da me per qualsiasi cosa. Infatti spesso li sostengo come sponsor per appoggiare la loro passione, il calcio. Li ho a cuore. Per non parlare poi di quando entrano i nuovi arrivati che purtroppo, non parlando la nostra stessa lingua, diventa difficile capirli e si arrabbiano pure! Ciò che a me spiace - continua Gianni - è che la “gente di passaggio”, come li chiamo io, non si ferma più. Ha paura. I miei clienti affezionati, che vengono da altre zone, di tanto in tanto, per prendere i prodotti doc, mi chiedono sempre: “Gianni ma come fai? Bravo come sei e il rapporto qualità-prezzo dei tuoi prodotti potresti spostarti altrove”. Spostarmi? - sbotta Giovanni - Per andare dove? E’ la vita del commerciante che è diventata difficile, anzi credo che non esista più una giusta definizione di commerciante. L’unico mio rammarico - conclude - è non aver goduto della mia famiglia. Mi ritrovo tre figlie donne senza averle viste crescere, perché il lavoro mi ha sempre portato via tanto tempo. E a distanza di anni mi chiedo se davvero ne è valsa la pena». 

Un padre, un commerciante, un marito, un cittadino che come altri di Torre Annunziata vivono situazioni precarie. Dopo anni si diventa pilastri di un quartiere, un punto di riferimento, ma intanto la vita scorre e diventa sempre più difficile viverla. Gianni è solo un esempio in una realtà di innumerevoli negozianti che hanno sul loro volto quella espressione di provata stanchezza.