A cura della Redazione
Gli ultimi giorni dell’anno hanno sempre rappresentato per Torre Annunziata uno dei momenti di comunanza ed appartenenza più importanti e sentiti, dopo quello della tradizionale festa votiva del 22 ottobre. In tal caso, il Rione dell’Annunziata torna ad essere considerato il centro della città, riassumendo così il titolo che gli spetta di diritto quale luogo simbolo, da cui è scaturita la grande storia della nostra comunità cittadina. Ed è così che in questi ultimi giorni dell’anno le vie del rione, in particolar modo quelle rivolte al mare, si rivestono di quella secolare tradizione marinara che contraddistingue il nostro essere. Per l’occasione, anche certi stereotipi divengono superflui e la voglia di poter ripercorrere quelle antiche vie, con i loro inconfondibili profumi e vocii, diviene tale da debellare ogni maldicenza. Storicamente il luogo dove oggi ancora si rievocano gestualità e mestieri antichi, che ancora rappresentano quelle arcaiche caratteristiche classiche delle borgate napoletane, è sempre stato il centro culturale di scambi di derrate che, per lo più, trovavano come fonte sostanziale i prospicienti approdi. L’evoluzione, sempre per quel suo fisiologico continuo avanzare, seppur abbia modificato nel tempo “le pietre” e gli uomini, non è riuscita più di tanto e, possiamo dire anche per fortuna, a cancellare quell’aspetto marinaro, e ci piace ribadirlo, che puntualmente si ripropone e si riscopre. Allora, ammaliati ancora una volta dal fascino delle nostre antiche radici, non ci resta che ripercorrere, in questo caso, con i ricordi e qualche rievocativo storico, quelle antiche strade. Svoltata la “Via Regia” verso la marina, ad accogliere l’avventore, dandogli così la percezione del momento e del luogo in cui si ritrova, sono le “chiamate” dei pescivendoli che, concitati, invitano a visionare la loro accurata esposizione con lo scopo aggiunto, oltre alla vendita, di incantare il potenziale acquirente. Chi si sofferma solitamente è attratto dalla curiosità: tra una moltitudine di colori e profumi, molluschi e specie marine di ogni sorta, si cerca sempre di capire quanto mai variegate fossero le tipologie ittiche mostrate ad ogni puosto. Sotto lo sguardo orgoglioso dell’instancabile venditore, quasi sempre non sfuggono all’attenzione le vasche dei prodotti ancora vivi che si dimenano quasi a chiedere, a chi li osserva, di voler essere estratti da quella poltiglia di vivacità. Allora, scansando con la visuale i polipi e i goffi crostacei, ciò che attira è quasi sempre la vasca dei capitoni. Un groviglio indecifrabile di corpi ammassati che, muovendosi, producono il pari di un moto ondoso marino. E dagli assi lignei della vasca quasi sempre c’è chi tenta la fuga per non ricadere nuovamente in quel vortice limoso provocato dall’eccitazione dei loro movimenti. E’ l’attrazione maggiore che cattura lo sguardo di tutti; il capitone in questi giorni è quasi sempre il primo attore, che mantiene viva la tradizione. Ad interrompere quelle scene, che esortano al bucolico, distrae la “voce” della terra: è il verdummaro che contrasta i sapori del mare lanciando la chiamata “rò mellone ‘e Natale”! Sulla scesa r’à ‘Nnunziata, ad interrompere lo strepitio dei pescatori e dei pescivendoli, ci sono i puosti di terra. Ecco che sovvengono connubi soavi di odori, che miscelati tra il fragore dei movimenti di tutti i prodotti presentati sulla scesa, divengono agrodolci profumi di non più precise attribuzioni. Tuttavia, benché la festa è rappresentata dall’animo marinaro del luogo, questi, con le loro parature, non esulano dal rappresentarne una parte gradita del contesto. E per l’occasione le loro botteghe, in alcuni casi anche per quelle che un tempo potevano appartenere all’ingresso di un notabile portale, si adornano di ogni ben di Dio. Pertanto dai loro interni addobbati di piennoli, fasci di sovere e melloni verdi (il classico melone che noi abbiamo attribuito al Natale) imbragati in ramoscelli sapientemente annodati, è guardingo lo sguardo del verdummaro che mira che le sue esposizioni non si scompongano. In fondo alla via, a far da cornice alla città antica, in un brulichio di genti, brillano i ponti del Bayard illuminati a festa, che fin dal primo momento della loro edificazione divennero un punto di riparo per tutti coloro che osavano fronteggiare il nostro mare. E nel riparo delle volte del baluardo ferroviario borbonico, come accadeva fin dalla prima metà del XIX secolo, i pescatori locali continuano a riporre le loro speranze purtroppo oggi pesantemente affrante. Anche se ultimamente la marineria torrese è profondamente annientata dall’onta del tempo attuale, non bisogna demordere nel rivivere e ripercorrere gli antichi fasti commerciali del luogo. La tradizione che ritorna e si impone, come in questo caso, rappresenta il fattore sano di una comunità, divenendo promotrice di quell’importante processo di valorizzazione necessario all’expo - e non c’è termine più indicato in questi tempi in cui si fa del cibo un culto e di un prodotto culinario il sinonimo dell’indicazione della propria origine - delle vigilie di Natale e Capodanno a Torre Annunziata. VINCENZO MARASCO