A cura della Redazione
Carmela Sermino e sua figlia Ludovica non possono essere riconosciute familiari di vittima della criminalità organizzata. A stabilirlo è una nota del Ministero degli Interni. Carmela è la moglie di Giuseppe Veropalumbo, giovane carrozziere di Torre Annunziata ucciso da un proiettile vagante la sera del 31 dicembre 2007, mentre si trovava a casa dei genitori nella zona Cuparella. Stavano festeggiando tutti insieme l´arrivo del nuovo anno quando una pallottola attraversò la finestra e si conficcò alle spalle di Veropalumbo. Vani furono i soccorsi ed il tentativo di salvarlo. L´assassino non è stato mai trovato e così il Ministero, appellandosi a questo, non ha garantito alla moglie e a sua figlia il riconoscimento dello status di familiare di vittima delle mafie. Caso archiviato. Una vicenda triste ed assurda, che finisce con l´amplificare ancor di più, se possibile, il dolore di una donna e di una famiglia straziate dalla perdita di un loro caro. La Sermino, però, non ha intenzione di arrendersi per veder garantito un suo diritto. Ha scritto una lettera al presidente della Camera, Laura Boldrini, nella quale descrive chi era Giuseppe e come è morto. Soprattutto il contesto sociale in cui è avvenuto l´omicidio. Una "terra di nessuno" in cui si spacciava droga nelle ore diurne e serali, in cui si sparava per fetseggiare l´arrivo del nuovo anno. Ma Carmela ha parlato anche dell´impegno di magistratura e forze dell´ordine, intente a liberare quella zona dalla malavita. Passi in avanti ne sono stati fatti sul tema della legalità. Tuttavia, il killer, nonostante le indagini condotte dagli inquirenti, non è stato ancora individuato. Il Procuratore Capo della Repubblica di Torre Annunziata, Diego Marmo, in un documento che ha accompagnato il decreto di archiviazione, ha sottolineato che, nonostante non sia stato trovato l´omicida, Giuseppe Veropalumbo è comunque da considerarsi una vittima indiretta della barbarie camorristica, a causa «della eccezionale densità e propensione criminale del rione, del numero di bossoli rivenuti nelle strade la mattina seguente, della mole di armi sequestrate nei mesi successivi e del numero degli arresti per reati riconducibili all’azione dei clan». Una"testimonianza" che, purtroppo, non ha "intenerito" il Ministero.