A cura della Redazione
Non è stato un buon Natale per la mia città. Questo certamente posso affermarlo dopo avere attraversato nell’anonimato più completo e nel più assurdo buio le strade di Torre nel periodo delle festività. Anche l’Avvento, che doveva prepararci al Natale, è volato via così velocemente, come per dire: cosa volete che vi annunci se non siete preparati ad ascoltare e ricevere il messaggio? Bastava spostarsi di qualche chilometro per scoprire come le luci e gli addobbi festosi arricchivano le altre cittadine intorno, per non parlare delle attività e delle iniziative che si sentivano nell’aria e che attraevano anche molti di noi proprio per superare il buio pesto in cui versava la città. Solo grazie agli amici di alcune associazioni locali si è avuto qualche lampo (fulminato) qua e là, ma senza efficacia e senza conseguenze. Ormai siamo ridotti così e nessuno si dà una mossa. Nessuno dico, non di quelli che devono accollarsi le responsabilità del silenzio e del buio, ma di quelli come noi cittadini comuni che continuiamo a restare nella rassegnazione, sebbene nella critica di questo atteggiamento che ormai offende anche a parlarne. Una volta archiviata questa occasione di festa mancata, una volta assodato che l’Amministrazione non è in grado di fornirci quello che era nelle aspettative di chi l’ha votata, tanto meno di chi l’ha combattuta ma non con sufficiente convincimento al momento opportuno, cosa ci proponiamo di fare? E’ un interrogativo che m’inquieta da tempo e che mi ha spinto fin qui a parlare, parlare, dire, inventare, suggerire, sacrificando il mio tempo e il mio spirito critico al punto di averne abbastanza e da voler abbandonare la città al suo destino. Mi è venuto da ridere quando ho letto il manifesto dell’Associazione Commercianti che invitava a spegnere le luci delle vetrine. Mi chiedevo: quali luci e quali vetrine? Non so se qualcuno se n’è accorto che le luci erano spente. L’elefante ha partorito il topolino! Vergogna anche ai responsabili della Associazione che, latitanti in tante circostanze, pronti a stare in prima linea per le foto di rito nelle occasioni preziose per mettersi in mostra, non hanno fatto sentire la loro voce e tantomeno hanno intrapreso iniziative per stravolgere e combattere le strategie del “far niente” della Giunta. Ci si lamenta che il commercio langue? Come potrebbe andar meglio se non ci si dà una mossa? Chi dovrebbe preoccuparsi di impugnare le armi legali e civili a disposizione di una compagine produttiva che langue nelle attività e invece di leccarsi le ferite dovrebbe cercare strategie di lotta? Non voglio girare il coltello nella ferita. Posso avanzare una proposta, anche azzardata, ma che potrebbe dare opportunità di una svolta? Rivoluzioniamo il commercio locale invece di ricorrere alle trite e ritrite soluzioni periodiche dei saldi e delle svendite, che oggi sono solo pannicelli caldi sulla crisi totale. Commercianti, siete disposti a fare tutti insieme una generale riduzione dei prezzi che non siano mascherati da sconti, ma che rappresentino effettiva ed efficace revisione dei prezzi? Si può creare un’area, Torre Annunziata, dove correre a spendere perché i prezzi hanno la facoltà di farci recuperare il passaggio dalla lira all’euro, ritornando ai valori di quei tempi. Perché avete usato il sistema dell’euro uguale a mille lire e non di mille lire uguale a 50 centesimi? Oggi, facendo l’operazione inversa, si potrebbe far parlare di noi, altro che centri commerciali e outlet. Non mi dite, per favore, che una pizza di tremila lire oggi costa tre euro, perché non potrò mai accettarlo. Gli stessi albergatori italiani oggi stanno realizzando che hanno esagerato con i costi e laddove la camera costava 100 mila lire l’hanno venduta 100 euro. Nei confronti dell’Europa hanno fatto magra figura e stanno rivedendo i prezzi per recuperare un mercato che si è indirizzato altrove, dove cioè i prezzi sono stati la reale commutazione del valore con la moneta precedente. Sono certo che i commercianti possono rivedere i loro costi, aggiustare i prezzi, proporre nuovi valori e riconquistare un pubblico che si sta definitivamente allontanando dal commercio urbano. La stessa città andrebbe rivisitata nei servizi pubblici, nella circolazione, negli spazi pedonali, nelle aree verdi, nell’arredo urbano rivitalizzato per consentire l’afflusso di visitatori, certo incuriositi e attratti da una politica a dir poco sconvolgente. Saranno richiesti sacrifici, vero. Ma sempre meglio che restare con l’invenduto, ridurre le ordinazioni, perdere credibilità e credito e chiudere le attività per incapacità a evolversi e insolvenze economiche. Che ne dite? Mi piacerebbe sentire, in pubblico dibattito, cosa ne pensano gli interessati e cosa i miei concittadini che si spostano in macchina verso Pompei, Castellammare, Scafati e Cava, Napoli e Salerno, se non verso i grandi centri commerciali. Che, alla fine, pullulano di gente che non sa cosa fare se non trattenersi a guardare le vetrine, osservare, prendere un caffè o mangiare una cena frugale che non è concessa a casa propria, nella città che dicono di amare e che tanto volentieri criticano e abbandonano... nel bisogno. BERNARDO MERCOLINO