A cura della Redazione
«Mi hanno coinvolto in modo brutale, inumano e illegittimo in un provvedimento restrittivo che non sarebbe mai stato emesso se solo avessero letto o studiato diligentemente il capitolato d’appalto che l’aveva provocato. Questa è democrazia? Questa è giustizia?». Stefano Acciaio decide di affidare al nostro giornale il suo ragionevole sfogo che si sovrappone ad una forma particolare di liberazione. E lo fa all’indomani del provvedimento di archiviazione della sua vicenda giudiziaria richiesto dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Napoli, Giancarlo Novelli, e firmato dal gip Maria Gabriella Pepe. A parlare sono la dignità, la classe, il pregio di un uomo di valore che ha eletto il lavoro emblema della sua esistenza. Virtù perseguite, conquistate e guadagnate in anni di sacrifici e che sembravano dissolversi nel brevissimo lasso di tempo che occupa un trillo di campanello. Quello di casa sua, all’alba dello scorso 4 ottobre, quando agenti di polizia giudiziaria si presentarono al domicilio dell’imprenditore torrese per notificargli un provvedimento restrittivo rivelatosi poi arbitrario quanto gratuito. Stefano Acciaio non c’entrava niente con quella storia. Ma in carcere ci è andato lo stesso. «Mi sono ritrovato catapultato in una realtà che fino ad allora avevo solo immaginato. Sono crollate improvvisamente tutte le convinzioni e le certezze di una persona che pensava di aver seminato qualcosa per la collettività, per il lavoro e lo sviluppo del territorio. Con un colpo di spugna - sottolinea Acciaio - è stata cancellata una vita intera di lavoro da parte di un magistrato che dovrebbe essere baluardo di giustizia e, soprattutto, di garanzia. Invece, lo stesso magistrato, con facilità e sconsiderata leggerezza, decide della vita di un uomo senza, poi, rendere conto del suo operato a quell’uomo». Diciannove giorni di ingiusta detenzione (dal 4 al 23 ottobre 2011) rappresentano un’autentica crudeltà psicologica e, se vogliamo, anche fisica, per chi fino ad allora il carcere lo aveva scrutato solo in immagini cinematografiche e che è perfettamente consapevole della propria estraneità ai fatti contestati. «In quei giorni mi sono sentito abbandonato, solo, impotente. Mi avevano preannunciato che in 48 ore il gip di Firenze mi avrebbe ascoltato per chiarire la vicenda. Invece - sostiene ancora Acciaio - mi sono ritrovato di fronte a un magistrato napoletano che, nella sua gentilezza e onestà intellettuale, si scusava per la sua scarsa conoscenza dei fatti e si dichiarava impossibilitato ad assumere ogni e qualsiasi decisione in quanto il responsabile del procedimento si trovava a Firenze. Per tale motivo ho chiesto, invano, di essere ascoltato dal magistrato titolare dell’inchiesta, per chiarire la mia posizione e dimostrare la mia totale estraneità ai fatti contestatimi. Dopo questo incontro, il silenzio assoluto, il trascorrere lento dei giorni, la rabbia mista all’ansia, la presa di coscienza di essere uno strumento nelle mani di un’ombra. L’unico sostegno - aggiunge l’imprenditore - mi è arrivato dalla solidarietà degli altri, dai telegrammi e dalle lettere che mi venivano consegnate ogni giorno». Un vicenda, dunque, caratterizzata da indagini sull’intero territorio nazionale, dai risvolti molto contorti, complicata da competenze territoriali e dall’operato approssimativo di alcuni giudici, ma che non ha scoraggiato l’avvocato Pasquale Striano, difensore di Stefano Acciaio. «Ho impiegato due settimane per ricostruire solo la storia del mio assistito con il suo prezioso ausilio. Non so come abbia fatto il giudice toscano - sbotta Striano -, in appena dieci giorni e in prima istanza, a decidere di mandare in galera nove persone. Sono queste le garanzie che vengono riservate al singolo cittadino?». Ed in effetti proprio l’operato del gip presso il Tribunale di Firenze è stato sconfessato dal parigrado collega del Tribunale di Napoli, che aveva preso in carico, per competenza e successivamente all’arresto di Acciaio, gli atti giudiziari. Traduzione: a Napoli hanno letto le carte, a Firenze no. «E’ nostra intenzione presentare istanza di indennizzo per ingiusta detenzione per i danni sia psicologici che economici. Valuteremo anche - conclude l’avvocato Striano - la possibilità di azioni penali e civili nei confronti delle testate giornalistiche che hanno letteralmente speculato sulla vicenda giudiziaria di Acciaio, lanciandosi in voli pindarici e illazioni prive di fondamento». GIUSEPPE CHERVINO L’INCHIESTA L’indagine giudiziaria in cui è stato coinvolto, suo malgrado, Stefano Acciaio, nasce a Firenze e riguarda imprenditori del settore della mobilità (trasporto su rotaie) e funzionari di Trenitalia. L’attività investigativa era diretta a contrastare fenomeni corruttivi nell’ambito della gestione di appalti. Nella fattispecie di pertinenza dell’imprenditore torrese, la commessa riguardava la ristrutturazione di 13 elettrotreni di proprietà della Sepsa (importo totale di circa 14 milioni di euro) che si era aggiudicata il CPF (Consorzio Polo Ferroviario Campano) con sede a Torre Annunziata, di cui Stefano Acciaio era vicepresidente. Il reato contestato era di peculato in concorso con funzionari della Sepsa, azienda concessionaria di linee di trasporto ferroviario regionale totalmente controllata dalla EAV Spa (Ente Autonomo Volturno), holding dei trasporti della Regione Campania. Un’articolata rete di intercettazioni telefoniche consentiva di presumere corruzioni di dirigenti e funzionari nonché irregolarità nell’assegnazione del citato appalto. Il risultato di queste intercettazioni costituiva il punto di riferimento della richiesta di custodia cautelare avanzata dall’ufficio requirente del Tribunale di Firenze. Trasmessi gli atti giudiziari per competenza al Tribunale di Napoli, a seguito del ricorso presentato al Tribunale del Riesame dall’avvocato Pasquale Striano ed accolto in pieno, il Sostituto Procuratore della Repubblica, Giancarlo Novelli, richiedeva l’archiviazione del caso ed il gip, nel decreto, sottolineava che «l’ipotesi di reato di peculato non ha trovato, in realtà, alcun riscontro nella successiva e necessaria verifica documentale su quello che avrebbe dovuto rappresentare l’indispensabile banco di prova dell’ipotesi investigativa, ovvero il capitolato. Infatti l’analisi del capitolato d’appalto non consente di pervenire alle conclusioni prospettate nell’ordinanza di custodia cautelare, né dalla parte inquirente era stato svolto alcun accertamento tra la contabilità dei lavori svolti ed il capitolato stesso». L’avvocato Striano, nella memoria difensiva innanzi al Tribunale del Riesame di Firenze, ha evidenziato come Stefano Acciaio, inoltre, non abbia partecipato per niente alla redazione dell’offerta della gara di appalto, né rientrasse nei suoi compiti e non avesse le competenze tecniche per farlo. Addirittura, Acciaio non aveva mai avuto contatti, neanche telefonici, con i funzionari della Sepsa. Il suo ruolo era di organizzazione strettamente manageriale della gestione del consorzio, di super partes capace di far convergere su obiettivi condivisi le energie di tante piccole imprese che insieme potevano trovare la dignità di essere parte attiva nello sviluppo di un’area così economicamente depressa quale la nostra. da TorreSette del 29 giugno 2012