A cura della Redazione
Dopo la segnalazione di un lettore sullo stato, a dir poco pietoso, in cui versa la chiesa monumentale del cimitero di Torre Annunziata, ci è sembrato un atto doveroso quello di ampliare il discorso approfondendolo con alcuni ragguagli storici. Ciò sempre nella speranza che si riesca a destare l’attenzione e la sensibilità di qualche nostro amministratore per la tutela di quest’altro bene comune. Anch’esso parte del nostro patrimonio storico-artistico. Dopo l’emanazione dell’editto di Sant-Cloud da parte di Napoleone Bonaparte, il 12 giugno 1804, in cui si disponeva l’inumazione dei defunti fuori dai centri abitati per soccombere le tante carenze di igiene in cui molti paesi versavano, Torre Annunziata decise di istituire nel limite nord-est del territorio il suo camposanto. Al contrario di come è oggi, l’area dedicata ad offrire l’accoglienza dei defunti doveva rappresentare in pieno la semplicità e l’uguaglianza dinanzi a nostro Signore, almeno nella morte, dei congiunti che venivano riposti nella custodia eterna della nuda terra. In seguito, avvertita la necessità di offrire anche al caro estinto il dovuto conforto religioso, nel 1875, si decise di istituire un progetto che impiantava al centro dell’area cimiteriale un edificio votato al culto delle anime. Per l’occasione, il cimitero venne interessato da una risistemazione completa con la suddivisione in aree e giardini. Inoltre, ci fu la costruzione di ulteriori quattro edifici chiesastici ad opera delle Congregazioni cittadine, che vollero acquisire parti dell’area del comprensorio per la gestione in privativa delle salme dei loro affiliati o parrocchiani. Gli architetti Giuseppe Palumbo e Alberto Vallante proposero ai tecnici del Comune un primo progetto per la realizzazione dell’edificio, che poi venne seguito come prototipo di base per la struttura successivamente realizzata. La proposta dei due tecnici prevedeva una costruzione più austera rispetto a quanto poi si decise di costruire. Le maestranze vennero ispirate dalle linee mausoleiche tipiche dell’antica arte egizia legata al culto dei morti e ai corrispettivi legami con l’Aldilà, amalgamate, poi, con le caratteristiche architettoniche tipiche dei templi greci “in antis” (ingresso unico sormontato da due robuste colonne). Il tutto nel rispetto della sobrietà del luogo, tenendo ben lontano i fasti della vita terrena. Nel timpano vi è il segno della speranza per chi accede al cimitero. Uno splendido mosaico che rappresenta il Cristo Risorto. Ritornando ad oggi, e a quanto già è stato segnalato dall’avvocato Felice Cacace nel numero scorso di TorreSette, è inutile ribadire nuovamente come la chiesa madre patisca l’incuria dell’uomo ed il trascorrere inesorabile del tempo. Ma a soffrirne non è solo l’aspetto esteriore della possente struttura, ma lo è anche la preziosa opera musiva che sovrasta il suo ingresso. In alcuni punti si notano degli importanti distacchi dei tasselli e non si esclude, nel tempo, che l’intera opera del Cristo possa essere per sempre perduta se non vengono effettuati in tempo interventi di risanamento e riconsolidamento. Che si richiedono non sono solo per il rispetto e il decoro di una struttura sacra, ma per un altro importante tassello del nostro martoriato patrimonio storico-artistico cittadino, e parte di un complesso monumentale funereo qual è l’intera area cimiteriale cittadina. VINCENZO MARASCO dal settimanale TorreSette dell´11 novembre 2011