A cura della Redazione
Il terremoto in Giappone, il conseguente tsunami ed i gravissimi danni alla centrale atomica di Fukushima, hanno riproposto con allarmante drammaticità ed attualità il problema del Nucleare. Venticinque anni dopo il disastro di Chernobyl, avvenuto nel 1986, ed il referendum dell’anno successivo con il quale gli italiani decisero (con l’ottanta per cento dei voti) che il Nucleare doveva essere bandito dal nostro territorio, il Governo di centrodestra è intenzionato a costruire nuove centrali nucleari nel nostro Paese. Anche se, dopo la tragedia di Fukùshima, ha assunto un atteggiamento gradualmente “attendista”. Tanto è vero che il Consiglio dei Ministri ha approvato la moratoria che ritarda di un anno il passaggio al Nucleare. La preoccupazione del Governo è che la campagna referendaria, per il “sì” all’abolizione della legge che ha voluto il ritorno del Nucleare in Italia, possa avere un effetto condizionante e negativo sulle ormai imminenti elezioni amministrative e che al referendum, indetto per il 12 giugno, ci possa essere una valanga di voti contro il Nucleare. Ma perché il governo Berlusconi insiste tanto sul Nucleare? Le motivazioni sono essenzialmente due: perché dipendiamo troppo dai Paesi produttori di petrolio e gas, e perché l’energia nucleare è considerata meno cara di quella attuale o, addirittura, di quella basata sulle fonti rinnovabili (eolico, solare, ecc.). Anzi, a tal riguardo, ha addirittura abolito gli incentivi alle imprese che producono pannelli fotovoltaici e pale eoliche, mettendo in crisi un comparto della nostra economia che occupa oltre centomila dipendenti. Si dimentica, però, che la dipendenza energetica da altri Paesi non si eliminerebbe ma si sposterebbe solo a favore di quelli che producono uranio, il cui costo, per di più, è sempre in aumento e le cui riserve mondiali si esauriranno, secondo studi recenti, presumibilmente tra cinquant’anni. Senza considerare, tra l’altro, che le prime centrali nucleari saranno costruite e rese operative in Italia non prima dei prossimi dieci-quindici anni. E, quanto al prezzo inferiore dell’energia nucleare, si trascura il fatto che al costo di costruzione e gestione delle centrali bisognerà aggiungere quello del loro smantellamento, quando diventeranno obsolete, della bonifica dei territori circostanti e della conservazione delle scorie radioattive in appositi depositi per migliaia di anni. Ma cosa ne pensa il nostro governo regionale dell’energia nucleare e delle relative centrali da costruire? Poco tempo fa, il presidente Stefano Caldoro ha espresso il suo parere favorevole al riguardo, nonostante che, su proposta dell’Italia dei Valori, sia stato inserito nella Finanziaria 2010 della Regione Campania, all’articolo 1 comma 2, una norma che stabilisce quanto segue: “In assenza di intese con lo Stato in merito alla loro localizzazione, il territorio della regione Campania è precluso all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione e di stoccaggio del combustibile nucleare nonché di depositi di materiali radioattivi”. L’insensibilità al problema e l’incoscienza relativa alla pericolosità delle centrali lascia sconcertati. Eppure, anche nella nostra regione abbiamo avuto una centrale nucleare, quella del Garigliano, nel comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. E non è stata affatto rassicurante la sua presenza: aperta nel 1964 , già nel ‘76 le acque del fiume Garigliano allagarono il locale sotterraneo dove erano conservate le scorie radioattive ed un milione di litri di acqua contaminata finì in mare e nelle campagne circostanti. Nel ‘78 fu sospesa la produzione di energia nucleare ma, un anno dopo, ci fu un incidente analogo e nel 1980 le insistenti piogge penetrarono nell’impianto attraverso infiltrazioni, portando con sè grandi quantità del pericolosissimo Cesio 137. Addirittura, anche la settimana scorsa, c’è stata un’esondazione del Garigliano proprio nei pressi dell’ex centrale nucleare e nella zona dove si sta terminando la costruzione di un deposito, definito “provvisorio”, di scorie radioattive. Nel 1982 fu chiusa definitivamente già prima dello scoppio della centrale di Chernobyl e del referendum antinucleare in Italia. Da allora sono in corso i lavori di smantellamento e messa in sicurezza del sito, nonché la bonifica dei territori circostanti, che si concluderanno solo nel 2019, costandoci la bellezza di 150 milioni di euro. Ma il fatto più grave è che in quest’area si registrano da diversi anni, secondo studi recenti, alti tassi di tumori e di malformazioni genetiche molto superiori alla media ed indubbiamente legati alla presenza della centrale nucleare. Ecco perché quando ci sarà il referendum del 12 giugno, per il quale sono state consegnate dall’Italia dei Valori oltre un milione di firme (più di mille raccolte dall’IdV di Torre Annunziata) bisognerà andare a votare in massa per il “sì” all’abolizione della legge che istituisce di nuovo il Nucleare in Italia. A meno che il governo di centrodestra, prevedendo una “batosta”, non rinunci al piano nucleare e, ravvedendosi, scelga di puntare sulle fonti alternative e rinnovabili, oltre che sul risparmio energetico, così come ha già fatto la Germania che punta, entro il 2050, ad assicurare l’80 per cento del proprio fabbisogno energetico ricavandolo dall’eolico e dal solare. Saremo così previdenti, giudiziosi ed intelligenti anche noi? Speriamo proprio di sì. Per il futuro dei nostri figli e delle prossime e lontane generazioni. SALVATORE CARDONE (Dal settimanale TorreSette del 25 marzo 2011)