A cura della Redazione
Correva l´anno 1946, Torre Annunziata tendeva a destarsi dalle ferite dell´olocausto del conflitto bellico che aveva portato allo stremo il mondo intero. I ricordi nefasti, la fame, gli stenti, non erano ancora poi tanto lontani. Le distruzioni sommarie messe in atto dapprima dai bombardamenti alleati, dopo dai tedeschi in fuga che, per fermare l´avanzata americana, attuarono le loro infami rappresaglie sugli edifici di Corso Umberto, facendoli esplodere creando così degli sbarramenti atti a rallentarne la risalita dei liberatori verso la roccaforte partenopea. Le bombe, i loro tuonare, quello ancora non era stato dimenticato. I pescatori torresi, i commercianti, i "pastaiuoli", quella mattina del 21 gennaio 1946, come tutte le altre dopo la fine del conflitto, si apprestavano a portare avanti la baracca, a portare a casa quel tanto di guadagnato che potesse servire a risolvere i problemi dell´ennesima giornata. Inolte, si ripensava a riportare a casa l´onore cancellato da anni di suprusi e umiliazioni di ogni sorta. Nessuno poteva mai immaginare che quella mattina, per molti, sarebbe stata l´ultima e che non avrebbe potuto dissolversi come tutte le altre. Nessuno avrebbe mai pensato che al calar del sole, il buio sarebbe stato novamente nemico. Torre Annunziata, inconsapevolmente, ripiombò nuovamente negli inferi. Ore 18 circa, un primo tremendo boato fece da apertura alla tragedia. Il fuggi fuggi generale, le grida delle poveri, inermi ed esauste genti, i superstiti, "i sommersi e i salvati", tutti uniti nell´urlo del terrore. Non fu altro che l´inizio. Un secondo boato ancora più fragoroso, poi un terzo, un quarto, le fiamme, il fumo nero denso, acre, accecante. Al tutto subentrarono le impenetrabili polveri degli edifici annientati, i detriti, i vetri, la paura e lo sgomento. Gente che cercava altra gente. Tra il nulla si udivano le voci dei sepolti, dei feriti e degli affranti. Padri che cercavano le madri dei loro figli, gli stessi che cercavano le loro madri e i loro consanguinei, tutti presto divennero fratelli e sorelle accomunati dallo stesso dolore, dallo stesso delirio. Dante avrebbe descritto la scena come una delle bolgie del suo Inferno. Torre Annunziata non era più. Al rischiarire del nuovo giorno, la gente, comprese quanto accadde. Era ritornata silenziosamente la guerra a mietere vittime, a scuotere gli animi e la terra. L´opera degli alleati di accentrare sul molo di Torre Annunziata il restante del munizionamento ad alto potenziale fu la causa del disastro. Qualcuno volle addossare la responsabilità ai ragazzini che giocavano sul porto e che consuetudinamente si avvicinavano ai locomotori e ai vagoni. Qualcuno asserì che loro avevano innscato inconsapevolmente i razzi di segnalazione "Very" caricati con le bombe d´aereo, che ricadendo sui teloni che ricoprivano i vagoni, causarono dapprima un incendio poi le esplosioni. Addirittura qualcun altro pensò al sabotaggio giustificato dalle nuove ideologie politiche anticapitalistiche che si andavano ad attestare nei territori occupati dagli alleati. Nessuno di questi casi è risultato veritiero. Lo testimonierebbero gli incidenti analoghi avvenuti nei centri di costruzione e di stoccaggio dei razzi "Very" di Barra e Capua. La tesi alleata, dopo decenni, è stata smontata. E a Torre Annunziata non restò che contare i morti, e a rimarginare le ferite. Ben 54 suoi figli non videro più il giorno. Altri perirono negli ospedali di fortuna per le gravi ferite riportate. Vennero cancellati due volte, perché i loro nomi mai risultarono legati all´evento. I maggiormente colpiti furono i pescatori del Rione Annunziata, di quel borgo antico costiero che venne completamente spazzato via. A 65 anni da quel tremendo episodio non ci resta che ricordare e riflettere, riportare alla luce tutti gli elementi possibili, documentazione e testimonianze, che possano tener vivo quel maledetto ricordo. In onore del mio popolo. VINCENZO MARASCO* *autore, insieme a Carmine Alboretti, del libro "Torre Annunziata. 21 gennaio 1946"