A cura della Redazione
Nucleare? No, grazie! Questo slogan degli ambientalisti italiani, in voga decenni fa e che raggiunse il suo apice con il referendum antinucleare del 1987, ritornerà nuovamente di moda? Forse sì, perché nonostante oltre ventidue anni fa l’80 per cento degli Italiani abbia deciso in quella consultazione popolare che il nucleare doveva essere abbandonato, il governo Berlusconi lo ha riproposto. Dando il via alla costituzione di una joint-venture tra Enel (italiana) e Edf (francese), denominata “Sviluppo Nucleare Italia”, che dovrà costruire quattro centrali nucleari di terza generazione avanzata. Entro cinque anni dovrebbe essere posta la prima pietra e tra il 2020 e il 2025 le quattro centrali dovrebbero entrare in funzione. Perché il ritorno al nucleare? Perché l’Italia ha “fame” di energia, perché la acquista a caro prezzo dall’estero (Francia, innanzitutto) e perché ritiene il nucleare più economico di petrolio e gas. E’ questa la tesi del governo. Ma c’è un “piccolo” particolare che si dimentica e cioè che gli Italiani hanno detto “no” al nucleare con un referendum popolare, svoltosi l’anno successivo al disastro di Chernobyl del 1986. E che da allora, le centrali nucleari di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza) e Latina hanno cessato gradualmente di funzionare, quella di Montalto di Castro (Viterbo) è stata riconvertita in tempo a termoelettrica, perché non ancora completata, mentre quella del Garigliano è stata addirittura chiusa nel 1978, otto anni prima di Chernobyl e nove prima del referendum. La storia dell’unica centrale nucleare presente sul territorio della Campania, nel comune di Sessa Aurunca, a Caserta, è importante da ricordare. Aperta nel 1964, fu chiusa nel 1978, dopo meno di quindici anni. Inoltre, nel ‘76 le acque del fiume Garigliano penetrarono nel locale sotterraneo dove erano conservate le scorie radioattive e così un milione di litri d’acqua contaminata finì poi in mare e nelle campagne. Dopo la chiusura, nel 1979, ci fu un incidente analogo, mentre nel 1980 le insistenti piogge provocarono delle infiltrazioni nell’impianto e il deflusso delle acque piovane portò con sé grandi quantità del pericoloso Cesio 137. Senza considerare che nel territorio limitrofo all’impianto si registra da anni un tasso altissimo di malformazioni genetiche e di tumori, indubbiamente legato alla presenza della centrale nucleare. E ultimo fatto, da non trascurare dal punto di vista economico, lo smantellamento, la bonifica e la messa in sicurezza del sito continua ancora oggi (a distanza di trentadue anni dalla chiusura!), e si conscluderà solo nel 2019, arrivando a costare 150 milioni di euro. E’ anche per questo che l’Italia dei Valori ha fatto inserire nella Finanziaria 2010 della Regione Campania, nell’art. 1 comma 2, una norma che stabilisce quanto segue: «In assenza di intese con lo Stato in merito alla loro localizzazione, il territorio della regione Campania è precluso all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione e di stoccaggio del combustibile nucleare nonché di depositi di materiali radioattivi». Nicola Marrazzo, consigliere regionale IdV e presidente della Commissione Bilancio, ha aggiunto che «abbiamo salvato la Campania da un piano scellerato, ora il governo deve concordare le sue scelte con la Regione. E se non bastasse - prosegue Marrazzo - abbiamo anche depositato i quesiti alla Corte Costituzionale per promuovere un referendum abrogativo. In Campania non c’è spazio per il piano Scajola (ministro dello Sviluppo Economico e promotore del piano per il nucleare, ndr) pensato solo per far piacere ai grandi produttori di energia». Quindi, si ricomincia di nuovo la battaglia contro il nucleare e su questo problema si stanno già mobilitando partiti, associazioni ambientaliste e cittadini. Anche il Pd è sceso in campo. Ermete Realacci, deputato del Partito Democratico ed ex presidente nazionale di Legambiente, nel question-time alla Camera di mercoledì 13 gennaio, ha ribadito il “no” al nucleare. E altrettanto hanno fatto Verdi, Sinistra Ecologia e Libertà e Comunisti. Un nucleare che viene definito più economico semplicemente perché ci si limita al costo di costruzione e di gestione degli impianti, senza tener conto che dopo una cinquantina d’anni le centrali dovranno essere smantellate ed il territorio bonificato. E nonostante ciò ci sarà sempre la questione inerente le scorie radioattive da conservare in depositi per millenni e che per tutto queto periodo rappresenteranno per centinaia di generazioni un potenziale pericolo. E che dire, poi, del problema sicurezza delle centrali, non solo in caso di scoppio o di terremoto ma anche per eventuali attacchi terroristici? Ma avremo, almeno, l’indipendenza energetica? Niente affatto! Perché sposteremo la dipendenza dell’Italia dai Paesi produttori di petrolio e gas a quelli che producono uranio, le cui riserve mondiali si esauriranno presumibilmente tra cinquant’anni. E le centrali nucleari che dovranno essere costruite? Saranno già obsolete pochi anni dopo la loro entrata in funzione, perché di terza generazione, mentre già si stanno effettuando ora ricerche su quelle di quarta generazione, che per allora saranno sicuramete in una fase avanzata di studio e di progettazione. Allora, che fare? Come al solito la risposta è nella natura. Sviluppare il solare, l’eolico e le altre fonti rinnovabili e puntare sul risparmio energetico. Secondo un recente studio, solo con questi provvedimenti potremo recuperare tanta energia quanta ne potrebbero produrre le quattro centrali nucleari previste dal governo. Perciò, mobilitiamoci anche a Torre e se abbiamo conservato o dimenticato in fondo ad un cassetto l’adesivo con scritto “Nucleare? No grazie!” che abbiamo usato da giovani tanto tempo fa, tiriamolo fuori, mettiamolo e ricordiamo ai nostri figli che cosa è stato Chernobyl e quali sono i pericoli, per oggi e per il futuro, del nucleare. SALVATORE CARDONE dal settimanale TorreSette del 15/01/2010