A cura della Redazione
Egregio direttore, ho visto il film “Fortapasc” . E’ sicuramente un buon film, una buona testimonianza sul giovane giornalista Giancarlo Siani. Quando fu ammazzato avevo 21 anni. Non l’ho mai conosciuto, di lui ne sentivo parlare spesso da mio padre, il Pretore. Ne parlava con entusiasmo, tra i due si era sicuramente stretto un rapporto di amicizia e collaborazione, e per chi conosceva mio padre sa bene che in questi casi si spogliava della toga senza maliziosità, aprendosi con il suo interlocutore senza pregiudizi, sicuramente ispirato dalla sua disinvolta spontaneità e non certo da qualche sia pur minimo senso della strategia. Parlava di Siani come di un giovane coraggioso, attivo, impegnato. Mio padre non ha consegnato nessun dossier a Siani, l’unico dossier, con rapporti sulla camorra del territorio, l’ha inviato ufficialmente alla commissione antimafia. Non si è mai eclissato, né prima né dopo la morte di Siani. Ricordo ancora di interviste rilasciate sia ai giornali che alle televisioni, dopo il tragico evento, in cui ripeteva i suoi sospetti su possibili collusioni tra politica e criminalità organizzata. E’ vero che aveva le mani legate, ma perché è noto che il Pretore non poteva indagare su fatti di camorra, non era nella sua competenza. Lui era incapace di interpretare il ruolo di Giudice in maniera rigida, burocratica, grigia, appiattita solo sul Codice, ma si calava nella realtà e a suo modo voleva dare un contributo per modificarla. La storia del “progetto zattera” e il riscatto conseguente per aver viste riconosciute le sue ragioni, è l’emblema della sua esistenza. Mio padre non era un eroe ma non era neppure un vile, e quello che più fa male è il silenzio di tanti della sua generazione che lo hanno conosciuto ma che preferiscono il velo dell’ipocrisia al coraggio della verità. Sono tanti i sentieri che conducono ad una storia. Generalmente scegliamo quelli più rassicuranti, o quelli più suggestivi. La verità, però, è una terra senza sentieri. E tradire la verità, o dissimulare verità scomode, come quelle poi emerse dagli atti processuali, non è un buon modo per ricordare Siani. Già, proprio lui, che ha vissuto ed è morto per la verità. Ma la finzione, lo sappiamo, non sempre è aderente alla realtà, la finzione è solo una interpretazione della realtà. A proposito di finzione, nel film mio padre (chissà perché…), viene denominato il Pretore Rosone. Mio padre era il Pretore Gargiulo, Luigi Gargiulo. Ed io ne vado fiera. Antonella Gargiulo