A cura della Redazione
Pubblichiamo, di seguito, la lettera inviataci da un genitore di un´alunna "emigrante" del liceo classico ed indirizzata al nostro editorialista Massimo Corcione. Caro Massimo Corcione, sono, come te, un ex alunno del “Benedetto Croce”. Ti chiedo di pubblicare il mio sfogo in nome di una solidarietà di ex allievi che un po’ ci accomuna, e nel ricordo di un liceo e di una classe docente che, pur nella sua grandissima severità, produceva cultura, formava, sapeva tirar fuori il meglio da ognuno di noi, plasmava personalità mature e consapevoli, infondendo in ognuno senso critico e capacità di discernere ed orientarsi nelle difficoltà e nelle scelte, professionali e non, che la vita ci avrebbe presentato. Non vorrei sembrare nostalgico né retorico, ma perché dobbiamo rassegnarci e assistere impotenti all’agonia di una delle più importanti istituzioni culturali di questa nostra povera cittadina, già tanto imbastardita? I responsabili di tanto scempio si sono chiesti come mai, a pochi chilometri da noi, prosperano e mantengono intatta la loro tradizione licei come il “Plinio Seniore” e il “De Bottis”? Cosa succede al vecchio e glorioso liceo classico di Torre? Povero “Benedetto Croce”, non solo non c’è più perché è stato “inglobato” da quello che era nato, all’epoca, come una sua appendice sperimentale, lo Scientifico, e quindi ha perso la sua identità, ma ora che è diventato il “parente povero” e addirittura agonizzante... E’ vero, il livello culturale di Torre Annunziata e la massa amorfa propende per l’erudizione scientifica. Sono pochi quelli che hanno la capacità di capire il valore e l’importanza della cultura, quella con la “C” maiuscola, che solo gli studi umanistici possono dare. Pochi iscrivono ancora i figli al Classico. Pochi i giovani che Torre potrà ancora vantare come persone che hanno avuto una formazione umanistica, quindi completa. Mosche bianche... Ebbene, cosa accade a queste povere “mosche”? Come tali vengono schiacciate, vessate, atterrite da una classe docente che, atteggiata ed insetticida, invece di accogliere amorevolmente, incoraggiare, coltivare, invogliare e proteggere come una specie rara quelli che ancora credono in loro e danno l’anima sui libri, ci mettono passione e dedizione (perché il Classico è così, chi l’ha frequentato lo sa: o si ama, o si odia), con metodi da zelanti ragionieri ed atteggiamenti da “selezionatori della specie”, li scoraggiano e li angosciano al punto che non si è mai registrato, oltre all’esiguo numero di iscritti, un esodo biblico come quello attuale: classi dimezzate, migrazioni frettolose e concitate verso il “De Bottis” di Torre del Greco, il “Mazzarello” di Torre Annunziata ed il “Plinio Seniore” di Pompei. Quel che resta della cultura torrese è profondamente grato a questi professori e ai loro metodi! Povero Liceo Classico, eri l’ultima speranza per quelle future generazioni oplontine che, anche se in numero ristretto, aspiravano ad una formazione umanistica. “Quid est, Lyceum, quid moraris emori?”, avrebbe detto il buon Catullo. Il padre di un’alunna “emigrante” La risposta di Massimo Corcione Ho letto lo sfogo, mi sarebbe piaciuto riconoscere dietro quel “padre di un’alunna emigrante” un volto, ma rispetto anche se non condivido l’anonimato. Mi sento, comunque, assolutamente impotente. A me non piace coniugare i verbi al passato, pur essendo visceralmente legato al mio ieri, e custodendo gelosamente il patrimonio dei miei ricordi. Quelli liceali sono ambientati tutti al liceo “Benedetto Croce”, anni vissuti in strutture che tutto avrebbero potuto ospitare, tranne che una scuola. Neppure sospettavamo che potesse esserci un altrove, la possibilità - ad esempio - di un vero gabinetto di scienze o il piacere di una palestra che non fosse un garage oppure un sottoscala. Restava la classe e la capacità affabulatrice di certi professori, non di tutti in verità. Esistevano anche allora quelli che non riuscivano proprio a rendere interessante la propria materia. Nessuno ha mai insegnato a insegnare: è stato il limite della scuola italiana, la formazione dei professori era affidata ai concorsi, e l’Università spesso, troppo spesso, si riduceva a un esamificio. E al liceo arrivavano allora, come è possibile che accada oggi, autodidatti dell’insegnamento. Li hai definiti ragionieri, credo che l’allusione sia alle medie di valutazione che rispondono a criteri aritmetici più che logici, ma la discrezionalità resta uno dei poteri inviolabili per chi siede in cattedra. Garantisco che è così dappertutto: ho avuto la ventura di seguire (poco) i miei figli tra Roma e Milano e le percentuali, tra professori bravi e meno bravi, erano identiche. Eppure anche a loro, lo ammetto, è toccato sentire chi sa quante volte evocare i miei ricordi sulle interrogazioni a tutto tondo della professoressa Maresca, o le lezioni a voce roca e mente lucidissima della Ruggiero, o proprio il Catullo citato nella lettera recitato con tono ispirato da improbabile attore del professor Tanzillo. Le loro parole spesso ritornano nella mia mente, perfino quando scrivo di sport, la materia più lontana da quei libri che non amavo sottolineare per rispetto verso la pagina scritta. E’ vero, devo dire grazie a loro se ho sviluppato un metodo d’indagine che mi è tornato utilissimo nel mio lavoro, e se ho potuto insertare nuove nozioni su un terreno culturale già arato. Ecco perché, se potessi, rifarei a tredici anni la stessa scelta. L’hanno fatta anche i miei figli, in totale libertà, e non mi risulta che si siano pentiti. Ma, per onestà, dovrei anche raccontare l’ignobile affronto che in quegli stessi anni, in altra sezione, si compiva ai danni di una signora debole d’udito che s’accontentava di veder muovere le labbra, incurante del particolare che da quelle bocche uscivano non le teorie kantiane, ma le litanie delle formazioni di calcio allora più in voga. Sono caduto in trappola, ho parlato del passato. Ma solo perché conosco davvero poco la realtà scolastica torrese di oggi. Mi spiace sentir parlar male di quello che, al di là dei cambi di denominazione, resta il nostro liceo. La migrazione esisteva anche in quegli anni lontani, di solito era per sfuggire a professori ritenuti troppo severi. La sopravvivenza del Classico è soprattutto nelle mani dei suoi insegnanti, l’estinzione sarebbe un altro segnale di resa della città nei confronti dell’incultura, il peggiore dei mali che oggi affligge Torre Annunziata. Massimo Corcione